Con un ritardo dovuto ad un problema tecnico pubblichiamo l'intervento del prof. Paolo Neyroz ad Un vino Un Libro della edizione 2014....ringraziando Paolo per la cortesia e per la pazienza!!
IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI
Il libro di Francesco Piccolo potrebbe essere considerato un romanzo di formazione per
come attraversa episodi autobiografici combinandoli con la politica dagli anni 70’ in poi,
registrando la nascita, la formazione e il consolidarsi delle proprie convinzioni.
Non solo, forse più importante, è un libro “per” (a causa di) Berlinguer, “dedicato a”
Berlinguer. Berlinguer nel quale l’autore si identifica, nel quale l’autore trova la sua
identità nella consapevolezza matura che, nel territorio dei valori, i cui confini sono stati
delineati da Berlinguer, lui trova patria.
E qui, se non fosse che abbiamo appena iniziato, per non avventurarmi in cose più
grandi di me dovrebbe dirsi conclusa la mia attività di recensione.
D’altra parte, in questo libro di vino non se ne parla molto.
In realtà c’è un riferimento al vino ed è anche importante per l’autore:
Interno giornoUn salone di casa, amici che si sono radunati per seguire in televisione
le elezioni il 28 Marzo del 94, davanti alla televisione una ragazza seduta per terra; ha
vinto Berlusconi e la depressione, anzi, la disperazione domina su tutti; la ragazza si
volta per afferrare il suo bicchiere di vino rosso: “Va bene, che sarà mai, Berlusconi ha
vinto le elezioni e governerà, cosa può succedere?”. L’autore ricorda: “...e continuava
piuttosto serenamente a sorseggiare il suo vino. L’unica impressione che dava era che
quel vino le piacesse.”
A questo episodio torneremo tra poco.
Ma prima vorrei dire che a me fa piacere partecipare a questi incontri di Un vino un
libro (grazie Lamberto) non perchè abbia la possibilità di suggerire un libro o
presentarne una recensione. Mi piace perchè mi permette di associare e di filtrare i temi
proposti dal pensiero di un autore con la mia passione per il mondo vino con la mia
passione di fare il vino. Intendiamoci da dilettante, ma comunque protagonista di
quell’attività.
Veniamo, dunque, a dare queste associazioni filtrate.
Inizio dal titolo, quel TUTTI nel titolo in realtà cela un ambiguità che viene chiarita lungo
il racconto, ma che all’inizio sembra riferirsi proprio al “desiderio di essere come tutti”,
tipico dell’adolescenza, ma non solo. Quel essere accettati perchè uguali agli altri e
quindi congeniali al gruppo, facenti parte, non diversi. Ho vissuto e vivo questa ansia
quando vado ad assaggiare il vino che ho fatto. Non potendo desiderare che sia
eccezionale, desidero che sia come tutti, spero che sia come tutti, quindi accettabile.
Ogni volta che si inizia a fare qualcosa si desidera di risultare almeno al pari degli altri,
a diventare diversi-in-meglio c’è sempre tempo e strada facendo si impara che quel
tempo può essere anche molto lungo.
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La rotta che il libro segue è tracciata da alcuni punti di passaggio, episodi
autobiografici, definizioni di concetti e parole.
Primo episodio: Amburgo, 1974 Campionati del mondo di calcio, Germania EstGermania Ovest. L’autore ha 10 anni ed Il padre lo chiama davanti alla televisione e gli
dice che vedranno insieme una partita, una partita memorabile, da una parte i “nostri”, il
Mondo Occidentale(il padre è sempre stato decisamente di destra): la Germania Ovest.
Dall’altra i “nemici” del Mondo Comunista: la Germania EST.
Inizia la partita, ma quel ragazzo si appassiona col trascorrere del primo tempo per quei
giocatori dalla divisa attillata e fuori moda e pronosticati perdenti contro la grande
Germania di Mayer, Beckenbauer e Muller. Più il tempo passa e più la difesa strenue
dei pronosticati perdenti tiene, più si conferma la passione per quella squadra di
anonimi calciatori. Fino al 31’ del 2t quando il centravanti Sparwasser riceve un lungo
traversone da destra, stoppando con la faccia fa fuori due difensori e segna! Lui salta
dal divano e urla a braccia alzate, il padre si volta e gli rivolge uno sguardo che segnerà
per sempre la distanza fra loro. Così, ricorda l’autore, sono diventato comunista a 10
anni!
E qui siamo al punto che questo episodio solleva: progetti, scelte di vita, opzioni
fondamentali che vengono determinate da eventi apparentemente casuali.
Ovvio che proprio casuali non sono: c’è l’inconscio, ci sono tutti gli aspetti
inconsapevoli, ma reali, che ci portano in una direzione. Sintetizzando in una parola
l’istinto?
Per un pittore dipingere un quadro, completare un opera è portare a fine un progetto,
raggiungere le proprie aspettative estetiche.
Ed ecco che Piet Mondriane Hans Hartungindicarono 2 vie alternative:
Affidarsi alla ragione, alla geometria Affidarsi all’istinto, al gesto
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Venendo al vino, mi è tornato alla mente un capitolo del bel libro presentato proprio a
Un Vino un libro l’anno scorso da Gian Arturo Rota e Nichi Stefi: Luigi Veronelli.
“Ricerche”, in cui si riporta una lettera di Mario Incisa della Rocchetta a Veronelli in cui
traccia le origini del Sassicaia: “Piero Antinori..... mi incorraggia a scriverLe per narrarLe
perchè e come io sia giunto a tentare qui a Bolgheri la produzione di un vino da bottiglie
come il Sassicaia”. E racconta come da studente a Pisa, tra il 1921 e 1925, avesse
assaggiato un vino dei Duchi Salviati prodotto da una vigna sul monte Vecchiano e che
gli ricordava lo stesso “bouquet” inconfondibile di un Bordeaux che suo nonno gli aveva
permesso di assaggiare a 14 anni. La vigna di Vecchiano era piantata a Cabernet.
“Da allora mi ero prefisso di fare un vino che avesse quella particolarità”....
“Trasferitomi stabilmente a Bolgheri nel 1942, avevo cercato una zona adatta al mio
esperimento....
Tornando al filo conduttore che vi ho proposto, anche qui, all’origine di una scelta di vita
(d’impegno politico per l’autore, d’impegno professionale per Incisa della Rocchetta) vi è
un episodio vissuto in gioventù e fissato come direzione di riferimento:
Il goal del 74’ di Sparwasser, la percezione di un “bouquet” inconfondibile.
Il secondo episodioche voglio affrontare è quello riferito all’inizio: Le elezioni del 94’,
la vittoria di Berlusconi e la ragazza che beve il vino.
Introduce ad un tema centrale del libro, che sta nella considerazione del tutto originale
che l’autore offre di un atteggiamento generalmente inteso come negativo e che invece
lui propone come positivo: La Superficialità.
In realtà e per completezza, il tema della superficialità è presentato all’inizio del libro
con un altro aneddoto trattato in modo molto divertente , il colera a Napoli nell’estate del
1973. Ma veniamo alla rivisitazione positiva della “Superficialità”, intesa come capacità
di vedere, vivere le cose solo in superficie, negandosi le conseguenze profonde.
Negandosi il risultato di un analisi più profonda. Riducendo, potrebbe essere l’eterno
conflitto fra ottimisti e pessimisti, ma l’autore ci porta a vedere un aspetto importante
della “Superficialità”: La capacità di vedere le cose con distacco, che ci permette di
andare avanti quando un analisi più profonda ci direbbe di fermarci.
Direi di più, l’atteggiamento “Superficiale” può essere assunto attivamente per carattere,
oppure passivamente (involontariamente) per ignoranza.
Qui vengo all’associazione filtrata: La mia esperienza di contadino-clandestino.
Ci si propose l’acquisto di una casetta di pietra cadente con 2 ettari di terreno ad uliveto
e mezzo ettaro di vigna. Cosa voleva dire non lo sapevo, ma mia moglie e mia figlia se
ne innamorarono e dalla finestra al secondo piano si vedeva il Tino e la Palmaria. Ad
una analisi profonda la risposta sarebbe stata non lo dobbiamo fare, ma la
“Superficialità” passiva ci fece dire di si. Così ho imparato a cogliere le olive, a partire
da Bologna appena posso per tagliare l’erba e fare la legna in primavera ed estate,
potare la vigna in Febbraio e i trattamenti successivi, saltare i tagliandi dell’auto perché
non ho tempo anche se la macchina ha 250,000 Km, poi ho conosciuto Lamberto, ho
imparato che alle tradizioni certe volte bisogna dar retta, ma altre volte le si deve
mandare a quel paese. Insomma, l’avventura più redditizia e felice della mia vita.
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Vi sarebbero altre associazioni interessanti indotte dalla lettura del libro di Francesco
Piccolo. Per esempio quelle legate al concetto di purezzaverso quello di
compromessooppure quelle che potrebbero scaturire dal riferimento alla conferenza
del 1919 di Max Weber in cui definì e contrappose l’etica del principio e quelladella
responsabilità (decisiva per l’interpretazione, più che condivisibile, dell’azione di
Bertinotti nel far cadere il primo governo Prodi il 3 Ottobre del 1998).
Ma desidero terminare con terzo episodioche si riferisce a Caserta, anzi alla Reggia di
Caserta, e alla fontana in cui si rappresenta il mito di Artemide (Diana) e Atteone.
All’età di nove anni d’estate, a casa del suo compagno di banco Massimo, conosce un
ragazzino di paese, lentigginoso e con pochi capelli, che parlando solo in dialetto li
invita a seguirlo, per un passaggio segreto, in un posto meraviglioso. Ben presto si
rende conto che il posto meraviglioso è il parco della Reggia di Caserta dietro casa sua
e che spesso ha visitato. Ma questa volta è fuori dall’orario di visita e vive nell’incanto
della completa solitudine, bevendo una coca-cola fredda, la natura di quel parco.
Ne diviene parte e quella Reggia, quel posto gli apparterranno.
In quell’occasione vede alla fontana della Reggia la statua di una donna nuda che le
compagne cercano di coprire con veli e quella di un cervo braccato da cani.
Incontra il mito di Diana e Atteone: Per la calura estiva, durante una battuta di caccia al
cervo, Atteone scende a rinfrescarsi nelle stesse acque dove Diana e le sue compagne
stanno per immergersi. Atteone vede Diana nuda e perché lui non possa raccontarlo lo
trasforma in un cervo che verrà attaccato dalla muta dei suoi stessi cani.
La nudità di Diana come segreto divino al quale l’uomo non può avvicinarsi, pena la sua
morte. Morte come punizione inflitta per la profanazione di Atteone, per il voyeurismodi
Atteone potremmo dire.
Francesco Piccolo avrebbe forse voluto trasformare in cervo Berlusconi, quando per il
G7 del 1994 intrattenne Blair e Clinton con ameni commenti e secondi sensi nella “sua”
Reggia di Caserta, profanandola.
A me è venuto in mente la seguente associazione filtrata: All’inizio della mia avventura
nel vino capitava spesso che, assaggiato un vino particolare per qualità e personalità,
ne volessi conoscere i segreti della sua produzione. Avrei desiderato passare un anno
in quell’azienda per carpirne il segreto, per vedere nella sua “nudità” quel processo
divino. Poi mi è passata, non perché non si possa sezionare tecnicamente un vino, non
perché non si possano acquisire e comprendere pratiche e tecnologie, ma perché ora di
un vino mi piace semplicemente ascoltare quello che ha da dirmi. Così come di un
quadro non mi interessa sapere se é stato eseguito ad olio o tempera.
Anche questo potrebbe definirsi un elogio della “Superficialità”.
Fine
Paolo Neyroz