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lunedì 27 marzo 2017

Sei Pezzi facili e le Tenute di Badia, appassionati e curiosi sono serviti.



Saranno il Prof . Vincenzo Zappalà e le  Tenute di Badia ad animare il prossimo incontro di un Vino.. un Libro che si terrà l'8 aprile prossimo al Ristorante Antico Uliveto di Pozzi di Seravezza, che ha già ospitato il primo incontro, alle ore 18,00.
Il prof. Zappalà ci intratterrà , come sempre in maniera divulgativa e simpatica, su argomenti anche impegnativi come l'esperimento della doppia fenditura ed il libro di cui si parlerà sarà il famoso Sei Pezzi Facili di R. Feynman.



Per il Vino avremo le Tenute di Badia che presenteranno la nuova annata oltre al nuovo riserva Montecarlo rosso in anteprima.
Vi aspettiamo numerosi.

Per utte le informazioni e le prenotazioni per la cena che seguirà la conferenza/degustazione, contattare il Ristorante al n° 0584 768882

Lamberto Tosi


Per info sul Prof. Vincenzo Zappalà
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/chi-sono/

Per info sulle Tenute di Badia
http://www.tenutedibadia.it/index.php/it/

mercoledì 22 marzo 2017

Tenuta Mariani




NEWS da TENUTA MARIANI
Da poco è terminato l'imbottigliamento dei nostri metodi classici 2016.
I vini per i metodi classici della vendemmia 2016 che avevamo messo a riposare nelle nostre cantine, una volta pronti sono stati assemblati per le 3 diverse tipologie.
Segreto Brut
Segreto Fut de Chene Brut
e Segreto Fut de Chene Rosato Brut
Sono stati arricchiti con lieviti selezionati (Tirage) e zuccheri per la seconda rifermentazione in bottiglia.
Le nostre migliori uve selezionate delle vigne di Massaciuccoli, Massarosa e S. Macario, ci hanno permesso di produrre 6.000 bottiglie che riposeranno dai 24 a 30 mesi sui lieviti nelle nostre cantine, per la presa di spuma.
Non ci resta che aspettare pazientemente il 2019, per assaggiare i metodi classici ottenuti.
COME CONSUETUDINE, PER IL NOSTRO SEGRETO, PICCOLE PRODUZIONI SELEZIONATE, PER POCHE BOTTIGLIE !!
Nel frattempo vi aspettiamo presso le nostre cantine e la nostra sala degustazione di Massaciuccoli, per assaggiare i Vini ed i Metodi Classici attualmente disponibili.
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Ido Mariani
Tenuta Mariani - Azienda Agricola
Via Pietra a Padule Loc. Sasso Quiesa Lucca
Strada per Massaciuccoli
tel. +39 334 6240890

mercoledì 15 marzo 2017

La relazione del dott. Fancensco Parasole su "L'igiene dell'assassino"

Come promesso riportiamo qui sotto il testo integrale della relazione presentata l'ubdici marzo scorso al primo incontro di Un vino un libro.
Buona lettura!



IGIENE DELLA LETTERATURA

Il favoloso mondo di Amélie Nothomb


«Ma il poeta dice: nessuna cosa è dove la parola manca»

Martin Heidegger

«Avevo continuamente fame di cibi infami»

«Nessuno conosce un individuo come il suo assassino»

«Che errore, Nina! L'amore non ha nessun senso, ed è per questo che è sacro»

Amélie Nothomb, Igiene dell'assassino.

Recensione di: Amélie Nothomb, Igiene dell'assassino, Voland, Roma 2010 (sesta edizione - prima edizione in italiano 1997), trad. di Biancamaria Bruno - (in italiano anche in Guanda 2002, stessa traduttrice; prima edizione originale in francese 1992).

Dovendo decidere quale libro portare a questa nostra duplice degustazione, letteraria ed enologica, ho chiesto consiglio a mio figlio Giorgio. “Parla di Igiene dell'assassino della Nothomb”, mi ha suggerito senza esitazione alcuna. Susanna, mia moglie, ha subito obiettato che era impossibile parlarne. Che non era il caso. Troppi dialoghi, troppo filosofico, troppo astratto, troppo “anomalo” come romanzo; troppo meta- (metaletterario, metanarrativo), originale e bellissimo, certo, ma insomma troppo irraccontabile. Da leggere sì, ma da non raccontare. Interessante prospettiva questa, mi sono detto.
Poi ho pensato che “l'irracontabile” di Susanna non fosse in una prospettiva teorica e critico-letteraria, ma fosse l'acuta annotazione di un mio limite di recensore, o più opportunamente il timore che con un libro del genere io potessi partire per lunghi e tediosi voli pindarici di ermeneutica letteraria, uccidendo invece che ravvivando l'interesse alla lettura.
Se stasera sono qui, non è solo perché vi voglio bene, come dice la canzone, ma per raccogliere una duplice sfida: quella implicita nell'immediatezza giovanile del mio primogenito, quella di mia moglie ben più meditata e argomentata. Va da sé che, se stasera sono qui con Igiene dell'assassino, è anche perché questo libro è piaciuto a tutt'e tre e l'autrice c'intriga non poco.

Amélie Nothomb (vero nome Fabienne-Claire) nasce nel 1966 in Belgio, ma vi rimane poco. Il padre, un diplomatico belga d'illustre lignaggio, si sposta con la famiglia subito, nei primi anni di vita della figlia, in Giappone, Cina, Stati Uniti, Bangladesh. In Bangladesh Amélie soffrirà di anoressia, a 17 anni ritorna con la famiglia in Belgio, si laurea in filologia classica, ritorna in Giappone per lavorare ed approfondirne la lingua (che sente come sua lingua materna) e dopo varie vicissitudini torna in Belgio. Per sua ammissione tutti i suoi viaggi sono stati di fatto dei ritorni, personalmente direi anche delle “fughe”. Nel 1992, subito dopo la Guerra del golfo, pubblica il suo primo romanzo Igiene dell'assassino. Attualmente – pubblicati a cadenze pressoché annuali – ha al suo attivo circa 23 romanzi, ma per sua ammissione ne ha scritti 81. I suoi romanzi vanno dalle 100 alle 150 pagine e pare che abbia venduto qualcosa come 18mln di copie nel mondo. Ulteriori particolari biografici li potete trovare su internet. La rete è particolarmente generosa di occorrenze, anche filmate, di questa scrittrice. Personalmente vi consiglio di ascoltare un incontro fatto alla Scuola Normale Superiore di Pisa il 24 Febbraio 2015 che trovate su youtube, in cui viene presentato un nuovo romanzo, Petronille, e a cui questo mio intervento deve molto1.

La costruzione del personaggio riveste particolare importanza in A.N., perché il personaggio, il protagonista delle sue opere è quasi sempre lei, come donna e come scrittrice. Detto così, capisco che posso essere frainteso e chiarisco subito: i suoi scritti sono la prova della non esistenza della “scrittura di genere”, con buona pace di chi la pensa diversamente. La N. costruisce i suoi personaggi così come nella vita di relazione costruisce e gestisce se stessa, ovvero la sua “immagine”, in una maniera che, definirei con un certo azzardo, dannunziana. Per carità, è decisamente più carina, ironica e apparentemente più leggera del nostro D'Annunzio; dotata di senso dell'umorismo ed eccentrica, e poi non si atteggia a vate. Insomma, dannunziana ma più simpatica del D'Annunzio. In lei vita biologica e vita letteraria coincidono; magari, è legittimo pensare, limitatamente all'immagine pubblica (presentazioni dei libri, interviste), limitatamente a quella vita di relazione che definiamo professionale. Ma non è detto.
La sua figura – sostanzialmente esile – è icona ibrida e variegata: una gheisha occidentale, dal sembiante a volte pallido di una maschera incerata del teatro nō, sempre in vesti dark da Lady Gothic, con improponibili cappelli neri e incombenti. Alternativamente, un'ombrosa pamela o una sorta di sproporzionato cilindro ripiegato in due che le dà l'allure di una strega androgina, ma al contempo fragile.
Il “personaggio” Amélie sembra non lesinare particolari della sua vita privata: l'aver sofferto di anoressia e bulimia, l'aver risolto con la scrittura questa volontà di annullamento, o meglio, più che risolto, tenuto sotto controllo; il mangiare tuttora schifezze e il prediligere smodatamente lo champagne; lo scrivere solo a penna – i suoi manoscritti sono “veri” manoscritti – e il riporre i suoi romanzi ancora inediti per tutta la casa in scatole di scarpe. Il suo sentirsi straniera ed estranea a qualsiasi latitudine e il suo non essere (non voler essere o non riuscire ad essere) né di Eva né di Adamo (che è il titolo di un suo romanzo del 2007). Si ha la sensazione che la N. porti sulla scena pubblica e incarni in se stessa la medesima cura, fantasia e raffinatezza con cui scrive. La medesima fascinazione del limite, dei tabù e della morte, le medesime contraddizioni, la medesima astinenza e voracità con cui intreccia le sue storie. Perché sì, nonostante quello che ho detto fin ora, che la potrebbe equiparare ad un fenomeno fatuo, commercialmente costruito, della scrittrice maledetta e di successo, le cui vendite sono proporzionali alla visibilità sui media, A.N. è autrice colta, raffinata e creativamente efficace. Un geniale ermafrodita della letteratura che, secondo quanto ci si sarebbe aspettato, avrebbe potuto diventare un autore di nicchia, per palati esigenti, mentre in realtà ha ottenuto un successo planetario e pure trasversale.

Dal punto di vista dei contenuti, molti dei libri della N. sono storie di autofiction, detto alla francese e non all'inglese, mi raccomando, perché il termine è nato in francia ed è stato usato per la prima volta dallo scrittore francese Serge Doubrovsky nella 4a di copertina di un suo romanzo del 1977 (Fils). E ciò, con buona pace dei filominimalisti angloamericanofili che pretendono per i loro beniamini il primato, anche terminologico, dell'inventio leteraria.
L'autofiction è un “mentire raccontandosi”2. Un autobiografismo non tanto occulto e mascherato, quanto palese e menzognero allo stesso tempo. Un autobiografismo trasfigurato, elaborato, variato ed esagerato dalla fantasia letteraria, ma poggiantesi su aspetti della vita reale e delle esperienze di chi scrive.
Nello specifico A.N. ha 5 romanzi (una sorta di pentalogia, o meglio di “pentateuco”) che rispondono smaccatamente ai canoni dell'autofiction: Metafisica dei tubi (2000), una non-biografia teologica dei primissimi anni di vita dell'autrice in Giappone; Sabotaggio d'amore (1993), la storia del periodo subito successivo, vissuto nella Cina della Banda dei quattro, a Pechino, in un apposito ghetto per i diplomatici e le loro famiglie; Stupore e tremori (1999), dove si racconta l'esperienza di lavoro umiliante ed esilarante di A. presso una multinazionale giapponese – prima del ritorno definitivo in Belgio - dove farà una vertiginosa carriera da impiegata ad addetta delle pulizie dei cessi; Né di Eva né di Adamo (2007), una storia d'amore con un giovane studente giapponese di buona famiglia a cui insegnava la lingua francese, che sancisce la sua equidistanza astinente, forse asessuata, fra maschile e femminile; Biografia della fame (2004), in cui con ironia e originale humor ci racconta i viaggi e gli spostamenti da adolescente con la sua famiglia, attraverso il filo conduttore della fame, della sua storia nei secoli e del vuoto dell'anoressia in cui cade3e da cui riesce a sottrarsi grazie alla letteratura4.

Come abbiamo detto, Igiene dell'assassino è il suo primo romanzo. Spaventosamente perfetto per essere un'opera prima. Ma anche seconda e terza, per dire...
Il premio Nobel per la letteratura, Prétextat Tach, tanto obeso quanto famoso scrittore, misantropo e soprattutto misogino, fra due mesi è destinato a morire per una rarissima malattia: «Non senza legittimo orgoglio il signor Tach si seppe colpito dalla temibile sindrome di Elzenveiverplatz, chiamata più volgarmente “cancro delle cartilagini”, che lo studioso eponimo aveva scoperto nel XIX secolo alla Cayenna in una dozzina di ergastolani reclusi per violenza sessuale con annesso omicidio, e che da allora non si era mai più ripresentata» (p.5).
Alla notizia gli organi d'informazione di tutto il mondo si mobilitano subito per intervistare lo scrittore dalla morte annunciata. Il suo segretario Ernest Gravelin – che non ha rapporti diretti con il burbero ottantatreenne, ma solo telefonici (abita al piano superiore dell'appartemento di Tach) – seleziona, fra le molteplici richieste, 5 incontri con alcuni giornalisti locali. Si presenteranno nell'antro dello scrittore quattro uomini, che restano anonimi, e infine una donna dal nome anonimo, banale, Nina, che è l'essenza stessa di un diminutivo. I primi 4 giornalisti maschi verranno irrisi, malmenati dalla logica argomentativa tagliente e dalla raffinata retorica del premio Nobel, 4 duelli senza storia, e liquidati infine a male parole. I primi 4 incontri sembrano “sedute di riscaldamento”, come si dice in gergo sportivo, dove lo scrittore stigmatizzerà brillantemente l'ignoranza, la mala fede e il politicamente corretto, ipocrita e superficiale, dei mezzi d'informazione. Con la femmina invece s'instaurerà da subito un duello sul piano esistenziale, senza esclusione di colpi, una tenzone epica dove verranno alla luce teribili segreti, delitti, efferatezze di una mente diabolica, insomma un giallo vero e proprio e che quindi, come di prassi, non vi racconterò. E tutto sul filo di dialoghi in cui cattiveria pura, pura crudeltà, filosofia, teologia e letteratura saranno protagonisti indiscussi. Ma la filosofia, la teologia e la letteratura non addolciranno né alleggeriranno gli orribili eventi che emergeranno progressivamente dal passato della vita dello scrittore. Anzi, costituiranno lo strumento di una lucida e insieme malata analisi, che porterà all'inaspettato epilogo l'uomo e la donna, o meglio, sarà il caso di dire, il maschio e la femmina.

Sono i dialoghi la magistrale essenza stilistica di questo romanzo. Tant'è che ne è stata fatta anche una versione teatrale nel 2012 dal Teatro Stabile d'Abruzzo con Eros Pagni. Il nucleo contenutistico è oltremodo vario e profondo, potremmo dire anche metafisico e metaletterario. Ma anche etichettare così è sicuramente riduttivo se pur nobile, in quanto nel racconto della N. c'è anche un'estrema concretezza e fisicità, derivante dall'attenzione spasmodica al corpo e alle sue possibili rappresentazioni. Lo scrittore obeso, con i suoi tic e le sue infinite idiosincrasie, la giornalista magra, battagliera e invadente, che pur tuttavia diverrà nello scontro l'alter ego, il doppio rovesciato, dello scrittore. «Scrivere col corpo» e «partorire libri» sono del resto espressioni ricorrenti nelle interviste di A.N.
Si è detto che Amélie non è una rappresentante della scrittura cosiddetta “di genere” (insomma, “femminile”), ma anche i suoi libri – ed in particolare questo – sfuggono alla rubricazione in “generi”, quella classica e consolidata. Certo, si è parlato di autofiction, di giallo e di metaletterario, nel caso specifico, ma fondamentalmente l'opera della N. è ibrida ed esistenzialmente pervasiva, tanto da non poter essere incasellata in nessuna delle griglie tradizionali care alle storie letterarie, che per loro natura tendono ad archiviare, una volta per tutte e in maniera consolante, anche i capolavori. Scrittrice filosofica, ma leggera, ironica e divertente, ama ricercare l'armonia fra il sé ed il mondo (dice). Personalità solipsistica e tragica per certi versi, sembra voler realizzare un'aseità onnipotente quell'attributo dato a Dio dalla filosofia scolastica medievale, di perfetta indipendenza ed autosufficienza, di perfetta trascendenza –, soffrendo pur tuttavia della pesantezza dell'essere e dell'esistere.
Molti lettori e critici, specialmente sul versante femminile, hanno visto in Nina, l'agguerrita giornalista investigatrice dell'Igiene dell'assassino, la scrittrice stessa, mentre per sua esplicita ammissione l'identificazione vera è quella con Prétextat Tach, perché «dentro il corpo dell'obeso c'è sempre un'altra persona», dentro il corpo (si badi, il corpo, non solo la mente) di Prétextat Tach c'è A.N.
Costruirsi e autodistruggersi, al contempo, è l'ideale paradossale di chi soffre di disturbi alimentari, di chi, come l'autrice, sente la pesantezza d'esserci e nel tentativo di costruirsi – rendersi immune – di fatto anela a liberarsi da se stessa. Ma ecco che nella vita, così come nell'opera di A.N., scoppia un'epifania: la lingua è il livello più alto di realtà; e conseguentemente la scrittura è quel “luogo” - anch'esso paradossale – dove si verifica la pienezza dell'essere e la dimensione analitica della coscienza che lo nega. Esistere e pensare sono contraddizioni: chi esiste non pensa (gli animali, le piante, il mondo inanimato), chi pensa non esiste, o esiste se scrive, solo se scrive. Linguaggio e scrittura come “tao” - come “via” paradossale (la “via della scrittura”), percorso esistenziale di autosussistenza efficace; io sono perché scrivo storie di me stessa e, scrivendo storie di me stessa, scrivo della realtà tutta.

La poliglossia di A.N., l'aver studiato filologia classica, ha giovato al suo stile letterario e alla sua “voce” inconfondibile. I suoi romanzie ed anche il primo, Igiene dell'assassino, sono costellati da una raffinata mappa di giochi di parole, giochi etimologici e calembours. Un lussureggiare lessicale e sintattico che pur tuttavia riesce ad equilibrarsi, a trovare la sua giusta misura, attraverso un periodare godibile, secco ed essenziale. Questa “voce” è talmente credibile e, di più, retoricamente persuasiva da saper scivolare nelle sue invenzioni dal reale al surreale con una facilità affascinante, senza che il lettore percepisca il passaggio, se non a posteriori, quando ormai la “sospensione dell'incredulità” è cosa fatta e non si può più tornare indietro. Provare per credere.
Seguace del motto latino nomen omen, la scelta dei nomi dei personaggi nelle sue opere nasconde sempre il segreto di un destino, il significato di una premonizione, di un presagio, o semplice e sbrigliata creatività ironico-fantastica. Ad esempio, il nome dell'immaginario studioso, scopritore dell'altrettanto immaginaria ed eponima sindrome letale da cui è affetto il protagonista, Elzenveiverplatz, è un mélange di termini germanici, dove è ravvisabile una “platz”, “piazza”, e per assonanza un “Eisen”, “acciaio” (si sta parlando di “cancro delle cartilagini”!). Propriamente, poi, “Elzen” in olandese è “ontano”, albero dai molteplici significati occulti, che attingono alla mitologia celtica e non solo; evocatore di paesaggi palustri, umidi e putridi. Ma non sovrinterpretiamo, fermiamoci a questo punto.
Il nome stesso dello scrittore, Prétextat, pur attestato già in antico (fu il nome di un santo martire, il vescovo di Rouen del VI sec.; e questa origine la si menziona esplicitamente anche nel romanzo), è stato tuttavia da alcuni collegato a “pre-texte”, “pre-testo”, ovvero la parte biografica vera che si situa “prima del testo”, prima della finzione letteraria. Oppure, per via etimologica, è stato collegato al termine latino praetexta, la toga orlata di porpora, indossata dai giovani romani dall'infanzia fino all'età virile, in questo riconoscendo un'allusione all'ossessione del personaggio nei confronti della perdita dell'infanzia. Ma ancora, si potrebbe dire che Prétextat è il nome di “colui che tesse intorno” (praetexere) una trama, una rete o una ragnatela dove vengono intrappolati tutti gli altri personaggi del romanzo. Lo stesso cognome, Tach, infine, anch'esso attestato e assai comune5, da alcuni è stato collegato alla parola omofona francese tache, “macchia”, coi sinistri, oscuri presagi che tale termine comporta6.
Dai nomi, infine, passiamo ai titoli dei libri di A.N. Avrete sicuramente notato, da quelli già menzionati, che sono anch'essi assai bizzarri ed originali, a cominciare proprio da Igiene dell'assassino. Nella sua bibliografia enumeriamo a caso: Diario di rondine, Uccidere il padre, L'entrata di Cristo a Bruxelles, Antichrista, addirittura un romanzo dal titolo Le catilinarie, Dizionario dei nomi propri e Cosmetica del nemico. Ma cosa si intende qui per “igiene”7? Forse “stile di vita”, forse più etimologicamente “arte della salute”, o codice di comportamento per il benessere dell'assassino in questione? Anche in questo caso lo scoprirete solo leggendo. Ci basti qui concludere che i titoli eccentrici dei libri della N. non sono certo scelte editoriali imposte, ma titoli creati dall'autrice e rispondenti/funzionali alla sua linguisticamente raffinata strategia stilistica e narrativa.
Nella sua veste di metaromanzo (una delle tante vesti di cui abbiamo cercato di dar conto), vengono riportati anche i titoli delle opere immortali di Prétextat Tach: Apologetica della dispepsia, Il solvente, Perle per un massacro, Budda in un bicchiere d'acqua, Attentato alla bruttezza, Preghiera con scasso, La sauna e altre lussurie, Prosa della depilazione, Stupri gratuiti tra le due guerre, Crepare senza avverbio, La grazia concomitante, La crocifissione indolore ed altre astratte amenità di questo tipo. Non mi stupirei se alcuni dei circa sessanta romanzi ancora non pubblicati dalla N. avessero proprio i titoli delle opere attribuite a Prétextat Tach in Igiene dell'assassino.

Questo romanzo si presta bene come strumento – tipo sussidiario – dei corsi di scrittura creativa che ora vanno tanto di moda anche in Italia. Non solo infatti c'è la possibilità di smontarlo in tutte le sue componenti narrative, identificandone i generi e gli ingredienti, di studiarne l'estrema perizia dei dialoghi (la scrittura del dialogo è una delle attività più complesse per l'aspirante scrittore), di evidenziarne la sapiente tessitura dell'intreccio, sotto l'apparente linearità della successione di 5 interviste, ma è anche un piccolo vademecum di riflessioni sull'arte e la letteratura, su vezzi e vizii dei letterati, un piccolo, aureo compendio di teoria letteraria. Che in quanto tale, per A. N. è teoria esistenziale.

Con Igiene dell'assassino siamo di fronte ad un romanzo incompiuto che arriva alla sua compiutezza sessant'anni dopo; un epilogo che è rivelazione (ogni giallo ha la sua soluzione) ma anche esito tragico. Del resto «in una carriera di successo ci vuole un romanzo incompiuto per essere credibili» (p.10), ci dice Prétextat; e ancora, riguardo al mestiere dello scrittore, «come vuole che uno scrittore sia pudico? E' il mestiere più impudico del mondo: attraverso lo stile, le idee, la storia, le ricerche, gli scrittori parlano sempre di se stessi, e con le parole. Anche i pittori e i musicisti parlano di se stessi, ma con un linguaggio molto meno crudo del nostro. No, giovanotto, gli scrittori sono osceni; se non lo fossero, sarebbero ragionieri, conducenti di tram, centralinisti, sarebbero rispettabili» (pp.13-14).
A cosa mira il protagonista? Ce lo dice la N. stessa, mira a suscitare «disgusto, riso ed entusiasmo» (p.33), che è il compito della scrittura più efficace. A uno dei giornalisti maschi che ha letto superficialmente un suo libro, Prétextat dice: «Come se scrivessi per scuotere la gente! Se lei non avesse letto quel libro in diagonale, giovanotto, come probabilmente ha fatto, se l'avesse letto come bisognava leggerlo, con le budella, per quel poco che ne ha, avrebbe dato di stomaco» (p.40) … e ci s'intrattiene sull'estetica del vomito.
E ancora, sulla lettura e la comprensione: «Sì, i miei libri sono più nocivi di una guerra, perché mettono addosso la voglia di crepare, mentre la guerra mette addosso la voglia di vivere. Dopo avermi letto, la gente dovrebbe suicidarsi.
- Come spiega che non lo faccia?
  • Questo poi si si spiega molto facilmente: è perché nessuno mi legge. In fondo, forse è questa la spiegazione del mio straordinario successo: se sono così famoso, caro signore, è perché nessuno mi legge» (p.46), mi legge veramente, aggiungeremmo.
Che sia anche questo il motivo del successo della scrittrice? Una sorta di fraintendimento di massa del senso profondo del suo scrivere?8

Lettura (e scrittura) sono come il cibo, come una degustazione di cui non si può fare a meno, lettura (e scrittura) ci devono modificare, esattamente come mangiare tanto o poco ci fa ingrassare o dimagrire, altrimenti siamo dei «lettori-rana»:
«Come uomini-rana, attraversano i libri senza prendere una goccia d'acqua...Sono i lettori-rana. Costituiscono la stragrande maggioranza dei lettori umani, e tuttavia ne ho scoperto l'esistenza molto tardi. Sono così ingenuo. Pensavo che tutti leggessero come me; io leggo come mangio: questo non significa solo che ne ho bisogno. Significa soprattutto che entra nelle mie componenti e le modifica. Non si è gli stessi che si mangi sanguinaccio o caviale; allo stesso modo non si è gli stessi se si è appena letto Kant (Dio ne scampi), o Queneau. In realtà, quando dico “si” dovrei dire “io e qualche altro”, perché la maggior parte della gente emerge da Poust o da Simenon in uno stato identico, senza aver perduto una briciola di ciò che erano e senza aver acquisito una briciola in più. Hanno letto, ecco tutto: nel migliore dei casi, sanno “di che cosa parla”. Non pensi che esagero. Quante volte ho domandato a persone intelligenti: “questo libro vi ha cambiato?”. E mi hanno guardato, con gli occhi sgranati, con l'aria di dire: “perché avrebbe dovuto cambiarmi?”» (p.48).9

Dalle metafore che equiparano lettura e scrittura a cibo, e alle modalità di cibarsi, era inevitabile che il romanzo virasse anche verso l'altro scontato tòpos metaforico, la sessualità e l'erotismo (o meglio l'autoerotismo) (pp.57-62). Ma anche questo approcciarsi di A.N. ad un universo metaforico in fondo non originale, è fatto con la crudezza, la potenza e la capacità di rinnovare cose note, proprie di una grande scrittrice che sa guardare dal suo personalissimo buco di serratura.

Il duello finale di Prétextat Tach con Nina è il culmine di uno scontro apocalittico in cui non si sa chi vince o chi perde, o se ci sono vinti e vincitori. I soliti multilivelli di lettura che ci fanno sospendere il giudizio, o ci inducono all'azzardo esegetico destinato, per lo più, ad una piacevole frustrazione. Del resto «la scrittura comincia là dove si ferma la parola, ed è un grande mistero il passaggio dall'indicibile al dicibile. La parola e lo scritto si danno il cambio e non combaciano mai» (pp.118-119). La scrittura è il solo “dicibile” possibile, dunque?
Il testo è una “gigantesca cartilagine verbale”, un “tessuto spugnoso” pronto a riempirsi d'ogni cosa. Esso si riempie soprattutto di metafore; e cos'è la metafora ce lo dice l'obeso scrittore: «la metafora è un'invenzione che permette agli esseri umani di stabilire una coerenza tra i frammenti della loro visione» (p.132). Ma se la scrittura non può esimersi per sua natura dall'impiego della metafora, la lettura deve essere “carnivora”, non metaforica o simbolica. Impresa impossibile dal momento che ci vien da pensare che lettura e scrittura siano un unico gesto. Un gesto “criminale” e necessario per Prétextat Tach, perché «di fronte a un universo informe e insensato, lo scrittore è costretto ad assumere il ruolo del demiurgo. Senza l'azione formidabile della sua penna, il mondo non sarebbe mai stato capace di dare contorno alle cose, e le storie degli uomini sarebbero rimaste sempre vacue, come strabilianti locande spagnole» (p.137).

Nell'augurarvi una buona degustazione e una buona lettura, che siano ristoro e premio per avermi sopportato, concludo questa mia conversazione con alcune parole del cinico, obeso, geniale e immondamente puro Prétextat Tach, consiglio ed esortazione per noi e per i nostri tempi: «modificare lo sguardo: è questa la nostra opera più grande» (p.49).
Pozzi di Seravezza, 11 Marzo 2017

Francesco Parasole

2Riprendo la definizione dal titolo della tesi di laurea di Marco Mongelli, Mentire raccontandosi: l'autofiction nel romanzo italiano degli ultimi anni, Univesità di Siena – Facoltà di Lettere Moderne, A.A. 2010/2011.
3 «A vent’anni, leggere attraverso la penna di Catullo quel verso di vana esortazione a se stesso: “Cessa di volere”, mi lasciò intravedere che se un poeta come lui non c'era riuscito, neanch’io ce l’avrei mai fatta», A.N., Biografia della fame, Voland 2004, pg. 17. Il passo di Catullo a cui fa riferimento l'autrice è probabilmente l'inizio del Carme 73, anche se il motivo catulliano in cui compare il desine...velle è diverso dal contesto/motivo in cui lo usa la Nothomb.
4Questi 5 romanzi di autofiction si trovano ora riuniti in unico volume: A.N., Maxi, Voland 2012.
5“Tach” veniva reso nel latino umanistico del XV-XVI sec. in Tatius antroponimo di significato oscuro, considerato di origine sabina. P. es. Marcus Tatius, auch (Marcus) Tatius Alpinus, vermutlich Marcus Tach (?) (* um 1509 in Zernez; † 12. Juli 1562 in Freising), war ein Schweizer Humanist, Übersetzer und Poet. 1.
6Un acuto lavoro sull'analisi onomastica nelle opere di A.N., e più in generale linguistica, è stato fatto da Eleonora Brandigi, Amélie Nothomb, la cosmetica delle lingue, Società Editrice Fiorentina 2012. “Cosmetica delle lingue” riprende in variazione il titolo di un romanzo della scrittrice, Cosmetica del nemico, Voland 2011. La Brandigi, sottolineando l'importanza delle lingue e dell'etimologia nello stile e nel'immaginario letterario della N. (v. Dzionario dei nomi propri, Voland 2003), parla di lei come di una sacerdotessa del linguaggio, i cui personaggi sono anche «creature grammaticali » e analizza la sua capacità di essere anche figura mediatica, capace di conquistare un pubblico di massa.
7“Igiene” deriva dalla voce latina ygiene(m), a sua volta di derivazione greca yghieiné (sott. Téchne) “arte salubre/della salute”. Yghiés è la persona “sana”, “in salute”, yghéia è “salute”. La radice è *ug/vag (semantema che indica lo “spingere”), che ritroviamo nel latino vigeo, “ho forza” e vegeo, “sono sano” (da cui < vegeto, vigore, etc. in italiano).
8Lidia Ravera, intervistata a proposito dei romanzi di A.N., lungi da questo possibile fraintendimento, afferma che le sue opere hanno qualcosa che dà noia, che dà un profondo fastidio. Ma lo dice come complimento. Trovate l'intervento, con un po' di pazienza, su youtube.
9Qui è chiaramente A.N. che parla per voce di Prétextat Tach. Interessante gli accostamenti autoriali: Kant (con giudizio evidentemente negativo) e Queneau, Proust e Simenon. Se la prima coppia ci induce ad inferire un giudizio positivo su Queneau, la seconda coppia ci lascia in sospeso sul giudizio che P.T./A.N. attribuisce ai due autori. La lettura può essere duplice: l'accostamento inferenziale per simmetria Kant-Proust, Queneau-Simenon (coppia assiologicamente negativa e coppia positiva); oppure, più semplicemente, è possibile considerare la seconda coppia senza connotazione valoriale, come esempio di “cambiamento” che comunque la lettura di un qualsiasi autore deve, o dovrebbe, produrre nel lettore.

domenica 5 marzo 2017

Il Menù della serata dell' 11 marzo

Qui sotto il Menù della serata dell'11 Marzo , prenotazioni presso il ristorante Antico Uliveto.