Pini salmastri & Platani
Francesco Parasole
Io sono il Nonno e
anche il Nipote
F.P.
In estate le mamme non portano
più i figli sotto i pini marini nelle ore del caldo più intenso.
Questo pensava il nonno,
ricordando sua madre e tenendo per mano il nipote; sei anni magri e vivaci, un
giunco gentile, e uno zaino di giochi da spiaggia.
Da quando era andato in pensione
era lui che per le vacanze estive portava al mare il bambino. La mattina presto
in spiaggia, quando il sole è leggero e meglio si respira lo iodio, a fare
castelli e sciacquettii di battigia, poi a mezzogiorno, dopo un panino e un
succo di frutta, a giocare in pineta fino alla sera.
Come sua madre, pensava, che lo
costringeva a dormire almeno mezzora, perché lo iodio faceva più effetto.
Lui non infliggeva il supplizio
del sonno al nipote, e lo lasciava libero di correre e di fare domande.
Sostavano sempre sotto il pino più ombroso di quella pineta malata. Lo avevano
individuato in pomeriggi di passeggiate sulle tracce di disperate cicale.
Non c'erano più madri né figli in
quella pineta diradata e riarsa, pensava, ma ci stava bene a fare il nonno e
sempre gli spuntava una nota felice di nostalgia.
Camminavano un po' lungo sentieri
di sabbia mischiata ad aghi di pino, il nipote per mano o a volte davanti
veloce, ma non tanto per non ritornare o aspettare.
In quel lontano passato, che
ricordava solo per immagini e odori, questo posto frullava di voci e fruscii, e
il vento avvolgeva tutto del profumo del mare. Ora, solo pochi fantasmi
dispersi, qualche coppia in cerca di antichi ripari ormai estinti, e strane
figure intente a veloci commerci.
Il nonno era attento e il nipote
ancora ubbidiva. Camminavano insieme, evitando siringhe svuotate e preservativi
essiccati.
Il vecchio era nodoso e imponente,
un impasto abbronzato di sole di cava, rughe, tendini e cicatrici di scheggia.
Teneva ben stretto fra i denti un toscano spento, come una passione ribelle a
stento assopita. Da anni il respiro gli si era fatto silice e faticava ad
allungarsi, ma il tronco ancora era forte e aveva agili rami, come quei platani
vicino alla segheria lungo il fiume, sbollati nella corteccia e con le foglie
coperte da sempre di polvere di marmo.
Sotto quei pini malati nessuna
mamma, nessun bambino, pensava, ma ci stava bene a fare il nonno, nonostante
che morte dei marmi, per lui, non fosse mai stato soltanto il gioco di
parole di un giovane scrittore, pensava, e ci stava proprio bene a fare il
nonno, ma si sa i vecchi amano ripetere cose e pensieri.
Quel pomeriggio sotto il pino più
ombroso di quella pineta malata, una panchina nuova nuova li sorprese come il
dono di uno spirito silvano, giunto troppo tardi ma comunque gradito. La sosta
si sarebbe fatta più comoda d'ora in avanti e chissà...
Il nonno soddisfatto si guardò
intorno e all'improvviso un motorino con due giovani sbucò da un viale
polveroso e li prese di mira. La mano guantata del secondo – con quel caldo!
Pensò – s'allungò con dita ad artiglio alle spalle del nipote e allo zaino. Ma
lesto e sicuro un braccio stellato da nere cicatrici intercettò quel gesto di
rapina, mentre il bambino distratto da una conchiglia s'inginocchiava a
raccoglierla. E il braccio roteò come a scacciare mosche e centauri. I caschi
sbicchierarono rotolando nella sabbia vetrosa.
«Che
segaioli!» sussurrò il nonno e si trattenne, per il nipote.
Poi,
sollevò disinvolto il motorino, come era solito sollevare le conche di marmo
per il lardo, lo appoggiò al pino e aiutò quei due a rialzarsi, mentre il
nipote riempiva di sabbia e d'aghi di pino l'alveo della conchiglia.
«Sentite,
piccole teste di cazzo col casco» e la voce era un sibilo «facciamo finta di
nulla, andate sulla spiaggia che a quest'ora le mammine milanesi lasciano sole
le borse sotto gli ombrelloni per fare il bagno, e levatevi dai coglioni!».
Disse calmo, ma con occhi di mina dalla miccia finita, e i due si dileguarono
nella polvere e in un grido straziato di marmitta.
Il
nonno sputò frammenti di toscano e il nipote gli si avvicinò con in mano la
conchiglia farcita.
Allora
trasse un respiro lungo per quello che ancora poteva, mentre dalle Apuane una
luce di cipria indicava la via del ritorno.
Livorno,
18 Giugno 2017
Francesco Parasole