L'invasione dei Mutanti
Eroi non tragici e
gesti citabili
I
barbari – Saggio sulla mutazione
(in 30 puntate) di Alessandro Baricco
(La Biblioteca di Repubblica, GEE, Roma 2006 – UE
Feltrinelli, Milano 2008)
Prima di intrattenervi sul libro oggetto di questa
presentazione, mi piacerebbe parlare del significato di alcune
parole.
Il
termine barbaro come
tutti sanno ci deriva dal greco bàrbaros,
anche facile da ricordare. La
sua origine è onomatopeica e significa propriamente “uno che fa
bar bar...”, “balbuziente”. Nel sanscrito, a risalire, abbiamo
l'esatto equivalente, barbarah,
“balbuziente” e barbarati,
“parlare male, raddoppiare le parole, corromperle e renderle
incomprensibili”.
Già
in Omero (IX sec. a.C.) ne è attestato l'uso traslato: nel secondo
libro dell'Iliade (v. 867) troviamo l'aggettivo barbaròphonos,
“che parla in modo incomprensibile”, riferito ad una popolazione
dell'Asia Minore, i Carii. La nozione di barbaro come
“straniero” rispetto al mondo greco è quindi molto antica e si
caratterizza da subito con una connotazione negativa, sia pur su base
originariamente linguistica, della diversità etnica.
Il
mondo greco-latino, va detto subito, ha del barbaro
un'immagine di alterità radicale, rozzezza, ferinità. Questa
immagine ce la portiamo dentro come archetipo del diverso,
di una terra incognita
da temere perché hic sunt leones.
Gli
storici occidentali, prevalentemente quelli di lingua neolatina,
hanno sempre parlato in termini di Invasioni barbariche;
le abbiamo studiate velocemente e superficialemente a scuola. Ma
questa velocità e superficialità ci ha lasciato comunque la
percezione di scorrerie, saccheggi, massacri, stupri e conquiste
violente a fil di spada. Devastazioni e distruzioni di civiltà. Poi
abbiamo studiato Carlo Magno, tanto per dirne uno, il più famoso, un
barbaro, divenuto però
signore del Sacro Romano Impero...
Sul
versante delle lingue germaniche non si dà l'espressione Invasioni
barbariche; la lingua tedesca
parla di Völkerwanderungen,
ovvero più semplicemente e neutralmente di “movimenti/spostamenti
di popoli”. Forse si sentivano in dovere, in quanto diretti
interessati, di ripristinare la loro immagine storica, rubricando
quel periodo che salda l'antico al moderno con un termine senza
alcuna connotazione negativa, anzi decisamente più corretto e
obiettivo anche dal punto di vista etnologico.
Resta
il fatto che i
barbari,
con tutte le possibili locuzioni ad essi correlabili, rappresentano
un'immagine mentale tuttora collettivamente operativa e feconda di
metafore oppositive (su una matrice del tipo: civile/barbaro), dove
si evidenzia esasperandola la nostra occidentale paura della
diversità, della perdita di identità, del disordine e della deriva
sociale, culturale, esistenziale, insomma, dove si evidenzia
esasperandola la nostra paura dell'immane perdita della civiltà.
Questa
ineluttabile polarità fra sedicente civiltà e sedicente barbarie
viene efficacemente espressa dal poeta tedesco Heinrich Heine
(1797-1856): “Oh,
la discussione non avrà mai fine. Sempre la verità questionerà con
la bellezza. Sempre le schiere umane si divideranno in due metà:
Greci e Barbari” (Sämtliche
Werke).
A
noi chiederci cos'è la verità, cos'è la bellezza, se saranno mai
conciliabili, e quale delle due sta dalla parte dei Greci o dalla
parte dei Barbari. Ma, soprattutto, se poi veramente la questione
consiste solo e soltanto in questi termini. Credo che il saggio di
Baricco tenti di dare una risposta acuta, affascinante e tuttavia
prudente a queste domande.
Altro
termine su cui riflettere un po': mutazione.
Il Vocabolario della lingua italiana di Tullio De Mauro alla voce
mutazione
riporta: “Variazione
improvvisa
di un gene, della struttura o del numero di cromosomi di
un individuo,
che provoca evidenti cambiamenti ereditari morfologici e
fisiologici”.
Se, desiderosi di approfondimento, andiamo a leggere anche la
definizione di mutante,
conseguentemente troviamo: “Cellula
o individuo
che ha subito una mutazione. Nella Fantascienza, individuo,
specialmente extraterrestre,
dotato di caratteri anormali per effetto di mutazioni genetiche”.
Intanto
mi chiedo: perché la “mutazione” crea individui “mutanti” e
non, come parrebbe più logico, “mutati”? Che significato dare
alla scelta di un participio presente sostantivato al posto di un più
grammaticalmente pacifico participio passato sostantivato?
Poi
annoto che la variazione
in cui consiste la “mutazione” deve essere improvvisa
e individuale,
quindi non un fatto di evoluzione
(lento
e che interessi più individui, quelli di una stessa specie). E
questo mi torna.
Per
cui, diremo che la “mutazione” è fenomeno di cambiamento non
processuale ma repentino, che in qualche modo crea una frattura
fra noto e ignoto e, oltre quella frattura, qualcosa di diverso: il
mutante,
ovvero “un essere che continua a mutare”, quindi che ci sfugge e
che sfugge ad ogni definizione del “normale”, sfugge alla nostra
conoscenza. Sostanzialmente, dunque, proprio il nostro barbaro,
secondo l'immagine che abbiamo delineato poco sopra. Il riferimento
all'extraterrestre
della definizione fantascientifica di mutante
mi conforta definitivamente su questa conclusione: il barbaro
è
sinonimo di mutante,
in quanto individuo, ancorché organizzato in disorganizzata orda
barbarica,
a me sconosciuto ma, soprattutto, inconoscibile (ecco perché mutante
e non mutato,
perfettivazione in uno stato di immobilità che lo renderebbe, prima
o poi, afferrabile e quindi integrabile al mio mondo),
improvvisamente, repentinamente calatomi fra capo e collo senza che
io me ne potessi accorgere, al fine di distruggere la mia normalità,
la mia identità, il mio mondo.
E'
una necessità quasi fisiologica, evidentemente dettata da potenti
meccanismi di difesa, quella di concepire il diverso,
il barbaro,
come entità singolare, come individuo, cioè, etimologicamente,
soggetto
non divisibile.
E del resto è anche logico: come possiamo individuare differenze in
qualcosa o in qualcuno che non conosciamo, che non possiamo in alcun
modo conoscere, che non vogliamo conoscere e il cui statuto
ontologico vogliamo che sia, per semplicità e istinto di
sopravvivenza, indifferenziato? Pensiamo all'immagine mentale che
abbiamo quando parliamo di “massa”. O quando diciamo dei Cinesi
“che sono tutti uguali”. Il barbaro
ci
deve essere unico, solo così potremmo in qualche modo controllarlo,
tenerlo a distanza, evitare che ci contagi o corrompa. Eppure
dovremmo sapere che la diversità
è per sua nautura molteplice, plurale, felicemente magmatica e
complessa. Se accettassimo questo, dovremmo però imparare a
conoscere il barbaro,
a conoscere le sue abitudini, il suo modo di combattere, i suoi
accampamenti, gli spazi senza confini in cui si dice trascorra la sua
vita nomade, a limite dovremmo imparare a conoscere i suoi pensieri e
i suoi sogni. E a fare dei distinguo,
delle differenze. Ma non lo vogliamo veramente. Il barbaro è (deve
ssere) barbaro e basta.
Anzi,
a volte fa comodo, politicamente comodo, che il nemico sia il più
sfumato ed indifferenziato possibile, un'entità minacciosa avvolta
nell'oscurità. Leggere al proposito, di U. Eco, Costruire
il nemico e altri scritti occasionali
(Bompiani 2011).
E
riflettendo ancora sulle parole, si capisce forse anche perché il
sottotitolo che Baricco dà sia Saggio
sulla mutazione
e non magari Saggio
sulla metamorfosi.
La metamorfosi
appartiene al nostro mondo, alla nostra cultura, a quella mitologica
(si pensi ad Ovidio), o a quella psicoanalitica (si pensi a Kafka),
la metamorfosi
è
una semplice trasformazione
da una forma all'altra, sempre inscrivibile nel nostro orizzonte. La
mutazione
è
di un altro pianeta, ci coglie impreparati, stupra il nostro
orizzonte, ci contamina e ci porta alla perdizione. La mutazione
è barbara. Figlia del caos indifferenziato.
Alessandro
Baricco, torinese classe 1958, in Wikipedia, enciclopedia “barbara”,
è definito: scrittore, saggista, critico musicale,
conduttore televisivo, pianista, sceneggiatore e regista italiano.
Se per “pianista” si intende diplomato al Conservatorio in
pianoforte, dovremmo aggiungere allora anche “filosofo” in quanto
laureato in filosofia. In effetti un po' troppe cose per riuscirci
istintivamente simpatico. Ma si sa, non sempre Wikipedia è
attendibile, e forse, in questo caso, nonostante il comitato di
controllo delle fonti, ha esagerato. Il comico barbaro, dissacrante e
reietto dalle reti televisive canoniche, Daniele Luttazzi, lo aborre
e ha detto di lui che “mette l'IO in prosa”. Come dire,
narcisista e borioso, troppo alla moda e “personaggio”. Dalle
accademie è considerato autore e saggista controverso, insomma, di
valore letterario e di pensiero discutibile. Dai lettori invece,
generalmente amato e comprato. Il mercato vince 1 a 0, palla al
centro.
Tutto
vero, ma c'è di più.
Baricco
costruisce il suo personaggio pubblico esattamente alla stessa
maniera di come costruisce le sue opere, siano esse articoli di
giornale, saggi o romanzi. E' un affascinante affabulatore (si
presenta anche bene), lezioso, prezioso ma anche semplice e
colloquiale, sa raccontare i romanzi degli altri, soprattutto i
classici, meravigliosamente. L'ho ascoltato dal vivo, come una vera e
propria Rock-Star, raccontare Moby
Dick
di Herman Melville (un suo cavallo di battaglia) ed è stato un vero
e proprio sballo, da illuminare la sala con gli accendini e “fare
la Ola”...le pause giuste, il giusto ritmo, le efficaci metafore
del commento, gli ammiccamenti un po' guappi (del tipo, tanto
fra noi ci si intende),
l'illustrazione perfetta della trama, senza sbavature o digressioni
inutili, su cui però gigioneggiare personali variazioni sul tema,
anche criticamente acute. E qui sta il punto di riscatto, in
quell'anche
criticamente acute
che ti stupisce. Chi ha visto nel 1994 la serie televisiva Pickwick,
del leggere e dello scrivere,
o nel 1998 la serie di spettacoli, poi distribuiti sulle care vecchie
videocassette, dal titolo Totem,
amore per la lettura e la letteratura,
sa di cosa parlo. Una performance
letteraria ma anche multimediale superba, accattivante, una partitura
musicale dove il suono della parola ti cattura e ti rende epifanica
(o apocalittica a seconda dei casi) anche la più scontata ovvietà.
Lo stile delle sue performances
è
esattamente il suo stile letterario: un'incarnazione del verbo, e
viceversa, un'incarnazione della spettacolarità nel verbo. Che siano
articoli, saggi o romanzi, non importa, Baricco ha una “cifra”,
il sigillo costante di uno stile piacione,
densamente, intensamente piacione. E' vero, l'eccesso di raffinatezza
e di piaggeria nei confronti di chi ti legge o ascolta, l'eccesso di
belle e originali immagini che si affollano sulla pagina, ancorché
ritmicamente dispiegate e con sapiente e piana sintassi costruite, è
vero, a volte “stuccano”. Ti danno quel senso di sazietà che può
sfumare in nausea. Dove si conferma il paradosso dell'eccesso di
misura e controllo che magicamente diventa dismisura e perdita di
controllo.
Ma,
pur riconoscendo tutto questo, a me Baricco piace, interessa e trovo
che dica “bene” le cose che dice e scrive, cose complessivamente
niente affatto ovvie, scontate o banali, anzi.
Baricco
è uno scrittore barbaro e lo sa. Barbaro per come lo intende lui e
per come ci invita ad intendere la “barbarie” in questo libro.
Non a caso è uno dei fondatori nel '94 della “Scuola Holden –
Scuola di Scrittura e Storytelling”, dove rispetto alle scuole di
scrittura creativa ormai tradizionalmente di moda, ci si occupa di
multimedialità e anche di stilistica della comunicazione aziendale e
professionale.
Non
parlerò di Baricco come scrittore creativo, show-man, musicologo,
regista o performer
letterario, ma sarà necessario spendere qualche parola sul suo
lavoro di giornalista-saggista. Consapevole che, nella costruzione un
po' dannunziana del suo personaggio, come si è detto poc'anzi, tutte
queste caratteristiche, tutte queste “facce”, vi convergono.
Prima
dei Barbari
Baricco esordisce nella saggistica con L'anima
di Hegel e le mucche del Wisconsin,
del 1992. Un lavoro di estetica musicale sul rapporto fra musica e
modernità. Nel 1995 e nel 1998 escono per Feltrinelli 2 raccolte
degli articoli culturali comparsi su “La Stampa”, dal titolo
rispettivamente Barnum
– Cronache dal grande show e
Barnum
2 – Altre cronache dal grande show.
Nel 2002 pubblica, ancora per Feltrinelli, Next
– Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà,
definito un fast-book da consumarsi in metropolitana dove si
promette, dal sottotitolo, una chiave di lettura per il nostro futuro
prossimo che in realtà l'autore non è in grado di decifrare
(Rodolfo Fioribello). In verità non è così, qualche idea di
decifrazione Baricco ce l'ha ma se
la
e ce
la
centellina...si
offre e ci
offre un vino da meditazione.
Tutto
quanto sopra, l'interesse e la riflessione sulla contemporaneità,
sulla spettacolarità circense che questa contemporaneità sembra
portarsi dietro, sulle mutazioni
dei tempi etc.
prelude e culmina nel 2006 ne I
barbari – Saggio sulla mutazione
in 30 puntate. E' la raccolta in libro di 30 articoli comparsi su “La
Repubblica”. Un altro modo barbaro di scrivere saggi: prima si
scrivono articoli di giornale, poi si raccolgono in un libro. E i
capitoli li chiamiamo puntate. Quasi una Tele-Novela, ma intelligente
e spassosa, profonda ma spettacolare, le cui caratteristiche barbare
sono, fra le altre, l'aver appreso e realizzato appieno l'incompiuta
riflessione di Calvino in Lezioni
americane – Sei proposte per il prossimo millennio
(1984): leggerezza,
rapidità, esattezza, visibilità e
molteplicità.
Ma
Baricco ha altri Maestri e li denuncia in apertura, nelle epigrafi in
numero di 4, le soglie,
<<che tracciano i bordi del campo. Cioè ti fanno capire più o
meno in che campo quel libro va a giocare>>.
La
prima è indicativa e ci dice già molte cose su dove vuole andare a
parare l'autore, è tratta dal libro La
cultura dei vinti di
Wolfgang Schivelbusch (Il Mulino, 2006):
<<Il
timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è
vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione,
di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo nei quali
pascolano le greggi sono ricorrenti nella letteratura della decadenza
dall'antichità fino ai giorni nostri>>.
La
seconda epigrafe è uno spezzone di una recensione negativa di un
critico musicale londinese della Nona
di
Beethoven, siamo nel 1824 e in buona sostanza si dice che B. scriveva
musica per cervelli superficiali, dediti alla moda, al gossip, alla
lettura di romanzi
e alla dissoluzione morale (o
tempora o mores!).
Beethoven, l'avrete capito, era allora il barbaro,
divenuto a noi come civilissimo uomo, ovvero un “classico”. E' il
Carlo Magno della situazione: frutto delle invasioni barbariche che
diventa imperatore. Ormai, un “classico” anche lui.
La
terza è lapidaria: <<”Mickey Mouse” (W. Benjamin)>>.
Andar via di casa per scoprire cos'è la paura. Topolino, nelle sue
avventure, compie costantemente un rito iniziatico: va nel mondo dei
barbari. Ma poi ritorna da Minnie.
Walter
Benjamin (1892-1940), ebreo tedesco e marxista, è un Maestro molto
caro e molto studiato (alcuni dicono “copiato”) da Baricco. Egli
lo definisce fotografo
del divenire:
<<lui non cercava mai di capire cos'era il mondo, ma sempre,
cosa stava
per diventare
il mondo>>, cioè cercava di capire il senso di quello che, qui
e ora, definiremmo senza pensarci su come “barbarie”. W. B. per
Baricco fu il primo vero grande studioso delle mutazioni in atto.
L'ultima,
tratta da un romanzo di Cormac McCarthy. Il romanzo in questione è
Non
è un paese per vecchi
(2005):
<<Non
era difficile parlare con lui. Mi chiamava sceriffo. Ma io non sapevo
cosa dirgli. Cosa si dice a uno che per sua stessa ammissione non ha
l'anima? Perché gli si dovrebbe dire qualcosa? Ci ho pensato tanto.
Ma lui era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo>>.
Qui il barbaro che ammutolisce il civile sceriffo è uno
spietatissimo killer, fuori da ogni schema di umanità.
Dopo
le epigrafi il saggio si avvia a descrivere con mille accattivanti
metafore chi
siano e cosa
siano i barbari. E' un vero saggio di fenomenologia
del
barbaro, come fenomenologia
della mutazione.
Per descrivere quello che Baricco definisce come una sorta di animale
invisibile, il barbaro appunto, si deve procedere per casi concreti,
altrimenti definibili come “casi clinici”. Tanti “casi clinici”
messi insieme, i più disparati, uniti come i punti numerati di un
gioco di enigmistica, ci portano a disegnare, se non il barbaro, la
sua mappa, i suoi percorsi, in pratica la sua traiettoria nel nostro
mondo.
Non
vi posso dire come va a finire, non sarebbe una recensione il cui
scopo è quello di invitare e stimolare alla lettura; creare cioè
quella aspettativa, ragionata e ragionevole, del dico-non-dico che
evochi l'ansia del lettore.
Ma
Baricco qui ci parla con sublime, intelligente affabulazione
salottiera di temi come perdere
l'anima,
di fenomeni di mutazione come respirare
con le branchie di Google,
ci parla di termini risemantizzati dalla cultura barbarica come:
spettacolarità,
nostalgia, passato, democrazia, autenticità, educazione.
Ma
data la sede, mi intratterrò su una sezione del capitolo iniziale
Perdere
l'anima.
Ovvero, le 2 puntate, i 2 movimenti che parlano del vino: Vino
1, Vino 2.
Lettura
n. 1 (pp. 42-45, ed. 2006).
Vino
semplice e spettacolare. Un'emozione per chiunque. Parole chiavi del
barbaro che saccheggia il vino alla millenaria tradizione di chi ne
deteneva i segreti. Nasce il <<Vino hollywoodiano>>:
prodotto del barbaro, prodotto della modernità. <<...al primo
sorso c'è già tutto: dà una sensazione di ricchezza immediata, di
pienezza di gusto e profumo; quando l'hai bevuto, la scia dura poco,
gli effetti si spengono; interferisce poco con il cibo, ed è
pienamente apprezzabile anche solo risvegliando le papille gustative
con qualche stupido snack da bar; … Dato che è manipolato senza
troppi timori reverenziali, ha una personalità piuttosto costante,
rispetto alla quale la differenza delle annate diventa quasi
trascurabile. … Prendete un barbaresco di alto livello e bevete:
facilmente sentirete una serie di sensazioni se non sgradevoli,
almeno faticose. Facilmente vi verrà da cercare la sponda di un
qualche cibo proprio per ammortizzare quelle sensazioni. ...gustare
il vino è una faccenda che non riguarda tanto il primo sorso, o gli
istanti in cui lo bevete, ma tutto il tempo dopo, la storia che il
vino vi racconta dopo...>>. Vini faticosi, difficili, profondi.
Vini che raccontano storie sempre diverse (poderi, annate...); vini
che non fanno per il barbaro.
Lettura
n. 2 (pp. 49-53 ed. 2006).
Quantità
sulla qualità. Il barbaro tira a far ciccia. Desacralizzazione dei
gesti. Desacralizzazione del prodotto. L'anima si perde anche quando
si punta a una commercializzazione spinta. L'innovazione tecnologica
è tradimento della tradizione? Il “globalismo” è a volte in
realtà imperialismo, altra forma di Colonizzazione economica e
culturale.
Bisogna
essere capaci di vedere il movimento armonico dell'animale per capire
il barbaro, la sua direzione, la sua strategia. I babari
compiono gesti, veloci ed improvvisi, sembrano gesti inconsulti
ma hanno una logica, non una logica frammentaria, bensì una logica
sistematica.
Dopo
il vino si parla di calcio.
Le
nuove tecniche di gioco, la zona e la squadra che prevalgono sullo
scontro diretto, sulla marcatura stretta, sul duello testa-testa,
sulla guerra lenta e pesante di posizione. Le 2 puntate sul calcio
danno modo a Baricco di aprire uno squarcio autobiografico: il
simpatico e nostalgico ricordo delle sue partite parrocchiali...
E'
la fine, a distanza di secoli, dell'eroe tragico. Quell'eroe che già
all'epoca aveva sostituito l'eroe tetragono Achille, un po' dio un
po' robot. E' la fine dell'eroe tragico, della personalità forte nel
bene e nel male. Subentra Ulisse e i suoi compagni. Subentra la
ferrea divisione dei compiti e, al contempo, la possibilità di
spiazzare l'avversario rivestendo più compiti, più ruoli, magari
senza più vette di eccellenza, ma dove l'unico scopo è la vittoria
della squadra, non l'affermazione di una personalità. E la
spettacolarità, tipico attributo barbarico, è comunque assicurata,
paradossalmente assicurata da eroi da commedia. Un altro tipo di
spettacolarità, quello della velocità e della strategia. Altra
mutazione barbarica. Il calcio diventa dunque, come il vino del
resto, e i libri e gli altri argomenti di cui tratterà, diventa,
dicevo, indizio della mutazione, gesto barbarico. L'indizio come
metafora complessiva che rende conto della totalità del fenomeno,
che rende conto del cambiamento, della mutazione. Meglio ancora,
l'indizio (il vino, il calcio, i libri e Google) che è metonimia del
tutto, dell'essenza complessiva del barbaro (il particolare per
l'universale, il veloce per il lento, il superficiale per il
profondo, il relativo per l'assoluto...).
Il
genio è lento, e dunque secondo la logica del barbaro è meglio <<la
regressione di una capacità (che) genera una moltiplicazione di
possibilità>>. E ancora, <<Un cervello semplice
trasmette messaggi più velocemente, un cervello complesso li
rallenta>>. La civiltà è analitica, il barbaro sintetico.
<<Un sistema è vivo quando il senso è presente ovunque e in
maniera dinamica: se il senso è localizzato e immobile, allora il
sistema muore>>, e il barbaro è vitalista. Lo pensiamo ingenuo
e banalmente superficiale (altro stereotipo) ma forse è un'errato
pregiudizio. Sa cosa vuole, e in che modo ottenerlo. Alla faccia del
nostro snobismo, della nostra puzza sotto il naso.
Del
libro e del suo destino. 3 puntate: la cosa gli interessa
particolarmente...
<<L'idea
che il mondo dei libri sia attualmente sotto assedio da parte dei
barbari è oggi tanto diffusa da essere quasi diventata un luogo
comune. Nella sua vulgata, direi che poggia su 2 pilastri: 1) la
gente non legge più; 2) chi fa i libri pensa soltanto al profitto, e
l'ottiene. Detta così è paradossale>>. E Baricco in 3
succulenti capitoli ci spiega il paradosso, o meglio, ci dice che il
paradosso è tale solo se non riusciamo ad avere una visione
dall'alto, una visione complessiva che indvidui non solo il singolo
gesto, ma la sequenza complessiva. Il libro come gadget.
Il libro come istruzioni-per-l'uso. Il libro che informa.
Manuali e letteratura. Comunicazione ed espressione.
Pensiamoci
bene, quando noi esprimiamo giudizi negativi su alcuni aspetti
specifici della contemporaneità (non parliamo più di modernità e
post-modernità, basta con le etichette asfittiche), il più delle
volte abbiamo ragione e il giudizio particolare è obiettivamente
giusto. Se inseriamo invece l'aspetto specifico in una costellazione
più ampia, cambiamo il punto di osservazione e assumiamo più dati
(cioè maggiori indizi), ecco che la cosa prima giudicata
negativamente di per sé, inserita in un sistema, in un campo di
relazioni, assume una positività globale inaspettata. Altra lezione
di Baricco: il barbaro pensa per grandi numeri e statistiche, e in
questo riesce anche ad essere creativo, fantasioso, geniale. Non
tutto è oro quel che luccica, ma anche il fango può nascondere
dell'oro, se opportunamente rimosso. Invito a vedere le cose dal
punto di vista del barbaro.
Dai
polmoni alle branchie: la mutazione che si definisce come evoluzione
rovesciata.
Da
La galassia Guttemberg e la lungimirante teorizzazione del
Villaggio globale di Marshal McLuhan, non è una novità che ogni
scoperta, o cambiamento o rivoluzione tecnologica, modifichino la
cultura, il nostro modo di comunicare e di apprendere. Non è una
novità certamente che un nuovo strumento condizioni culturalmente
coloro che se ne servono e i loro prodotti. E' l'eterna dialettica
fra scienza e tecnologia, dall'invenzione della ruota in poi. Averne
coscienza però è stato più lungo e faticoso della scoperta della
ruota, forse. Ma ora è un'ovvietà. Il barbaro con Google sta
rivoluzionando il sapere, i rapporti fra gli uomini? E dov'è la
novità? Da nessuna parte. Cose risapute. Quello che ci si deve
chiedere è dove vuole andare l'orda barbarica, che direzione sta
prendendo, che scopi ha. Quesiti decisamente più complessi
dell'asseverazione di un dato di fatto, osservabile e misurabile.
A
volte Baricco sembra spregiare il barbaro, a volte sembra apprezzarlo
come portatore di qualcosa di vero e di importante e non come
distruttore. Sembra addirittura, dopo aver aspramente criticato certe
sue tendenze, ammirarlo e lasciarsi sedurre da un qualche fascino che
ancora noi non vediamo, o che possiamo solo iniziare a supporre. Nel
capire la strategia e lo stile del barbaro, e della mutazione, così
come ce le spiega Baricco, improvvisamente ci rendiamo conto che
stiamo scoprendo anche la strategia, lo stile e la mutazione di
Baricco stesso, quelli del suo pensiero e del ruolo che riveste nel
panorama della nostra cultura. Baricco è uno dei nostri barbari, di
quelli che ci sta raccontando. Ma c'è qualcosa ancora che ci sfugge,
qualcosa di più.
Proviamo
a riepilogare alcune caratteristiche dei barbari, analizzate, sparse
e più volte ripetute nel libro:
un
nuovo concetto di esperienza: l'idea che l'intensità del mondo non
si dia nel sottosuolo delle cose, ma nel bagliore di una sequenza
disegnata in velocità sulla superficie dell'esistente. Fare
esperienza è incontrare un senso, non statico ma dinamico;
la
superficie dunque al posto della profondità;
la
velocità al posto della riflessione;
la
sequenza al posto dell'analisi (Baricco parla di sequenze
passanti, in pratica, “correlazioni”);
il
surf (o lo zapping) al posto dell'approfondimento;
la
comunicazione al posto dell'espressione;
il
multitasking al posto della specializzazione;
il
piacere al posto della fatica.
<<Uno
smantellamento sistematico di tutto l'armamentario mentale ereditato
dalla cultura ottocenteca, romantica e borghese. Fino al punto più
scandaloso: la laicizzazione brusca di qualsiasi gesto, l'attacco
frontale alla sacralità dell'anima, qualunque cosa essa
significhi>>.
Questa
è la mappatura genetica del barbaro mutante che individua Baricco.
Vi possiamo aggiungere la spettacolarità già ricordata, il
movimento costante (una forma di nomadismo permanente), suscitare più
sensazioni di contro ad una sensazione più lunga, intensa e
duratura. Una democratizzazione esasperata che diventa
massificazione. La logica del mercato e la desacralizzazione di ogni
cosa. Tutto diventa citabile, e quindi frammentario, materiale di
reimpiego a cui far assumere molteplici forme. Tutto citabile, niente
durabile.
Il
passato come discarica di scaglie, a cui attingere per nuove
costruzioni. La reliquia desacralizzata: Mitologia che si muta
in Fantasy.
C'è
qualcosa di positivo in tutto questo? E poi, non è che questa
mappatura è solo il manifesto di una nuova estetica? Di una nuova
fisiologia del gusto?
Quest'ultima
domanda è facilmente abbordabile: ogni nuovo modo di sapere e di
godere ha riflessi indubbi sul destino politico-economico del mondo.
Non si tratta di sola estetica o di sola letteratura, e questo nel
bene e nel male.
Sentiamo
che c'è quella che gli antropologi chiamano “frattura
antropologica”, giustappunto, come già sono avvenute: l'etica
aristocratica (onore e sangue) fu sostituita dall'etica del dovere
(illuminismo e poi romanticismo). L'etica del dovere si sta
sostituendo a quella del piacere? Ma quale piacere? E dove stiamo
andando?
Ogni
libro si sostanzia anche dei libri passati. E questo di Baricco non
sfugge al comune destino. Alcuni ce li confessa lui stesso nel testo.
Di altri abbiamo accennato in questa esposizione. Altri ancora ce ne
sono:
questo
libro forse non esisterebbe senza, ad esempio, l'aureo libello di
Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica – Arte e società di massa; questo
libro forse non sarebbe stato scritto senza gli studi sulla Società
liquida di Zygmunt Bauman, senza la Scuola di Francoforte, e via
dicendo per non appesantire.
Alla
Gioconda riprodotta su un poster o su un foulard di cui parla
Benjamin è debitore, anche nel titolo, il Dioniso crocifisso –
Saggio sul gusto del vino nell'era della sua produzione industriale,
di Michel Le Gris, filosofo-cantiniere francese e, guarda caso, anche
lui critico musicale. Questo libro piacerebbe molto a Baricco (e dice
anche molte cose simili). Chissà che non l'abbia già letto. Magari
in francese, ed essendo del 1999, potrebbe anzi far parte della sua
bibliografia implicita.
Chi
vuol capire qualcosa in più dei barbari nella storia e nella
letteratura consiglio, infine, del politologo lituano Leonidas
Donskis, allievo di Bauman, Potere e immaginazione – studi di
politica e letteratura (Arakne Editore, 2012).
Ma
con la scusa della bibliografia e dei consigli di lettura sto
omettendo qualche risposta alle domande che, insieme a Baricco, ci
siamo fin qui fatti.
Nell'ultimo
capitolo dal titolo la muraglia cinese (metafora fisica delle
barriere al barbaro e al cambiamento), abbiamo 2 passi che vi vorrei
leggere: un'esortazione accorata e il sogno di Gengis Khan...(pp.
233-234, ed. 2006).
Non
so se condividere totalmente il giudizio positivo di Baricco (con
tutta evidenza più tranquillamente barbaro di me).
Ma
a questo punto, nonostante i miei buoni propositi, vi ho svelato chi
è l'assassino. Leggetelo comunque il libro, ne vale la pena.
I
barbari siamo dunque noi, o meglio, siamo ANCHE noi. Il barbaro è
ciò che di noi ancora non conosciamo, la parte mutante di noi che
sentiamo esserci ma che ci sfugge, la parte mutante degli altri e
della nostra contemporaneità.
Il
barbaro-mutante ci abita intorno e fuori, e ci sollecita a farci
consapevoli del nostro essere “meticci”, ci sollecita, quasi come
un imperativo categorico, a conoscerlo esattamente in ogni sua
sfaccettatura per poterne trarre il meglio ed inserire questo meglio
in quell'alveo che ordinatamente da millenni gestisce la mutazione,
ogni mutazione, trasformandola in evoluzione. Alveo che voglio
chiamare, con termine un po' obsoleto ed esoterico, Tradizione.
Grazie.
Francesco
Parasole
Pozzi
di Seravezza, 16 Febbraio 2013