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mercoledì 27 febbraio 2013

Commmento di un Partecipante

Pubblichiamo il commento all'evento di un partecipante alla nostra manifestazione proseguita con la cena presso il ristorante Antico Uliveto.


di  Enrico Baroni.

Serata per menti e palati fini,  sabato 16 all’Antico Uliveto di Pozzi.
Nell’ambito della rassegna “ Un vino un libro”, ideata e condotta dall’amico enologo Lamberto Tosi,
un parterre di intervenuti ha attivamente dibattuto col brillante professor Francesco Parasole su
“ I Barbari, saggio sulla mutazione”, di Alessandro Baricco.
Successivamente l’attenzione si è spostata sull’avventura dell’Azienda Agricola “ La Torre Antica”, di Gambassi, piccolo borgo a cavallo tra il fiorentino e il senese, i cui vini, fieramente, eroicamente marcati di biologico, sono stati presentati dall’enologo Lamberto Tosi, che ne ha anche successivamente guidato la degustazione, in abbinamento con la sempre gradita bruschetta all’Olio di Olivo Quercetano dispensata
Puntualmente ai presenti da Cristina e Massimo, padroni di casa.
Inutile sottolineare la non casualità della scelta del vino e del libro.
Si è infatti voluto evidenziare il forte contrasto tra l’autenticità, la profondità, la gloriosa fatica quotidiana
Dei due titolari dell’Azienda, Andrea e Maurizia, presenti in sala,
e la volatilità, la superficialità, la facile spettacolarità della Società cui apparteniamo, così bene descritta nel libro e definita da Baricco come “Barbarica”.
La discussione è poi proseguita a tavola, dove si è continuato a disquisire, degustare, abbinare cibi e vini e si è ben percepito come si fosse in presenza di commensali appartenenti a una cultura, una sensibilità e un estetica fortemente ancorate a valori “ ancien regime” e non molto propensi a tollerare invasioni barbariche, né a tavola né altrove.
Tutto questo mentre risuonava nelle stanze la musica delle note biologiche dei vini del “La Torre Antica”,
con la chicca finale di un “ Santo Colombano” passito, vero gioiello dal color oro rosa che ha messo un dolce suggello a una serata nel suo insieme dai sapori estremamente saporiti e variopinti.



giovedì 21 febbraio 2013

La Relazione del dott. Francesco Parasole




L'invasione dei Mutanti
Eroi non tragici e gesti citabili


I barbari – Saggio sulla mutazione (in 30 puntate) di Alessandro Baricco
(La Biblioteca di Repubblica, GEE, Roma 2006 – UE Feltrinelli, Milano 2008)

Prima di intrattenervi sul libro oggetto di questa presentazione, mi piacerebbe parlare del significato di alcune parole.
Il termine barbaro come tutti sanno ci deriva dal greco bàrbaros, anche facile da ricordare. La sua origine è onomatopeica e significa propriamente “uno che fa bar bar...”, “balbuziente”. Nel sanscrito, a risalire, abbiamo l'esatto equivalente, barbarah, “balbuziente” e barbarati, “parlare male, raddoppiare le parole, corromperle e renderle incomprensibili”.
Già in Omero (IX sec. a.C.) ne è attestato l'uso traslato: nel secondo libro dell'Iliade (v. 867) troviamo l'aggettivo barbaròphonos, “che parla in modo incomprensibile”, riferito ad una popolazione dell'Asia Minore, i Carii. La nozione di barbaro come “straniero” rispetto al mondo greco è quindi molto antica e si caratterizza da subito con una connotazione negativa, sia pur su base originariamente linguistica, della diversità etnica.
Il mondo greco-latino, va detto subito, ha del barbaro un'immagine di alterità radicale, rozzezza, ferinità. Questa immagine ce la portiamo dentro come archetipo del diverso, di una terra incognita da temere perché hic sunt leones.
Gli storici occidentali, prevalentemente quelli di lingua neolatina, hanno sempre parlato in termini di Invasioni barbariche; le abbiamo studiate velocemente e superficialemente a scuola. Ma questa velocità e superficialità ci ha lasciato comunque la percezione di scorrerie, saccheggi, massacri, stupri e conquiste violente a fil di spada. Devastazioni e distruzioni di civiltà. Poi abbiamo studiato Carlo Magno, tanto per dirne uno, il più famoso, un barbaro, divenuto però signore del Sacro Romano Impero...
Sul versante delle lingue germaniche non si dà l'espressione Invasioni barbariche; la lingua tedesca parla di Völkerwanderungen, ovvero più semplicemente e neutralmente di “movimenti/spostamenti di popoli”. Forse si sentivano in dovere, in quanto diretti interessati, di ripristinare la loro immagine storica, rubricando quel periodo che salda l'antico al moderno con un termine senza alcuna connotazione negativa, anzi decisamente più corretto e obiettivo anche dal punto di vista etnologico.
Resta il fatto che i barbari, con tutte le possibili locuzioni ad essi correlabili, rappresentano un'immagine mentale tuttora collettivamente operativa e feconda di metafore oppositive (su una matrice del tipo: civile/barbaro), dove si evidenzia esasperandola la nostra occidentale paura della diversità, della perdita di identità, del disordine e della deriva sociale, culturale, esistenziale, insomma, dove si evidenzia esasperandola la nostra paura dell'immane perdita della civiltà.

Questa ineluttabile polarità fra sedicente civiltà e sedicente barbarie viene efficacemente espressa dal poeta tedesco Heinrich Heine (1797-1856): “Oh, la discussione non avrà mai fine. Sempre la verità questionerà con la bellezza. Sempre le schiere umane si divideranno in due metà: Greci e Barbari” (Sämtliche Werke).

A noi chiederci cos'è la verità, cos'è la bellezza, se saranno mai conciliabili, e quale delle due sta dalla parte dei Greci o dalla parte dei Barbari. Ma, soprattutto, se poi veramente la questione consiste solo e soltanto in questi termini. Credo che il saggio di Baricco tenti di dare una risposta acuta, affascinante e tuttavia prudente a queste domande.

Altro termine su cui riflettere un po': mutazione. Il Vocabolario della lingua italiana di Tullio De Mauro alla voce mutazione riporta: Variazione improvvisa di un gene, della struttura o del numero di cromosomi di un individuo, che provoca evidenti cambiamenti ereditari morfologici e fisiologici”. Se, desiderosi di approfondimento, andiamo a leggere anche la definizione di mutante, conseguentemente troviamo: “Cellula o individuo che ha subito una mutazione. Nella Fantascienza, individuo, specialmente extraterrestre, dotato di caratteri anormali per effetto di mutazioni genetiche”.
Intanto mi chiedo: perché la “mutazione” crea individui “mutanti” e non, come parrebbe più logico, “mutati”? Che significato dare alla scelta di un participio presente sostantivato al posto di un più grammaticalmente pacifico participio passato sostantivato?
Poi annoto che la variazione in cui consiste la “mutazione” deve essere improvvisa e individuale, quindi non un fatto di evoluzione (lento e che interessi più individui, quelli di una stessa specie). E questo mi torna.
Per cui, diremo che la “mutazione” è fenomeno di cambiamento non processuale ma repentino, che in qualche modo crea una frattura fra noto e ignoto e, oltre quella frattura, qualcosa di diverso: il mutante, ovvero “un essere che continua a mutare”, quindi che ci sfugge e che sfugge ad ogni definizione del “normale”, sfugge alla nostra conoscenza. Sostanzialmente, dunque, proprio il nostro barbaro, secondo l'immagine che abbiamo delineato poco sopra. Il riferimento all'extraterrestre della definizione fantascientifica di mutante mi conforta definitivamente su questa conclusione: il barbaro è sinonimo di mutante, in quanto individuo, ancorché organizzato in disorganizzata orda barbarica, a me sconosciuto ma, soprattutto, inconoscibile (ecco perché mutante e non mutato, perfettivazione in uno stato di immobilità che lo renderebbe, prima o poi, afferrabile e quindi integrabile al mio mondo), improvvisamente, repentinamente calatomi fra capo e collo senza che io me ne potessi accorgere, al fine di distruggere la mia normalità, la mia identità, il mio mondo.

E' una necessità quasi fisiologica, evidentemente dettata da potenti meccanismi di difesa, quella di concepire il diverso, il barbaro, come entità singolare, come individuo, cioè, etimologicamente, soggetto non divisibile. E del resto è anche logico: come possiamo individuare differenze in qualcosa o in qualcuno che non conosciamo, che non possiamo in alcun modo conoscere, che non vogliamo conoscere e il cui statuto ontologico vogliamo che sia, per semplicità e istinto di sopravvivenza, indifferenziato? Pensiamo all'immagine mentale che abbiamo quando parliamo di “massa”. O quando diciamo dei Cinesi “che sono tutti uguali”. Il barbaro ci deve essere unico, solo così potremmo in qualche modo controllarlo, tenerlo a distanza, evitare che ci contagi o corrompa. Eppure dovremmo sapere che la diversità è per sua nautura molteplice, plurale, felicemente magmatica e complessa. Se accettassimo questo, dovremmo però imparare a conoscere il barbaro, a conoscere le sue abitudini, il suo modo di combattere, i suoi accampamenti, gli spazi senza confini in cui si dice trascorra la sua vita nomade, a limite dovremmo imparare a conoscere i suoi pensieri e i suoi sogni. E a fare dei distinguo, delle differenze. Ma non lo vogliamo veramente. Il barbaro è (deve ssere) barbaro e basta.
Anzi, a volte fa comodo, politicamente comodo, che il nemico sia il più sfumato ed indifferenziato possibile, un'entità minacciosa avvolta nell'oscurità. Leggere al proposito, di U. Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali (Bompiani 2011).

E riflettendo ancora sulle parole, si capisce forse anche perché il sottotitolo che Baricco dà sia Saggio sulla mutazione e non magari Saggio sulla metamorfosi. La metamorfosi appartiene al nostro mondo, alla nostra cultura, a quella mitologica (si pensi ad Ovidio), o a quella psicoanalitica (si pensi a Kafka), la metamorfosi è una semplice trasformazione da una forma all'altra, sempre inscrivibile nel nostro orizzonte. La mutazione è di un altro pianeta, ci coglie impreparati, stupra il nostro orizzonte, ci contamina e ci porta alla perdizione. La mutazione è barbara. Figlia del caos indifferenziato.

Alessandro Baricco, torinese classe 1958, in Wikipedia, enciclopedia “barbara”, è definito: scrittore, saggista, critico musicale, conduttore televisivo, pianista, sceneggiatore e regista italiano. Se per “pianista” si intende diplomato al Conservatorio in pianoforte, dovremmo aggiungere allora anche “filosofo” in quanto laureato in filosofia. In effetti un po' troppe cose per riuscirci istintivamente simpatico. Ma si sa, non sempre Wikipedia è attendibile, e forse, in questo caso, nonostante il comitato di controllo delle fonti, ha esagerato. Il comico barbaro, dissacrante e reietto dalle reti televisive canoniche, Daniele Luttazzi, lo aborre e ha detto di lui che “mette l'IO in prosa”. Come dire, narcisista e borioso, troppo alla moda e “personaggio”. Dalle accademie è considerato autore e saggista controverso, insomma, di valore letterario e di pensiero discutibile. Dai lettori invece, generalmente amato e comprato. Il mercato vince 1 a 0, palla al centro.
Tutto vero, ma c'è di più.
Baricco costruisce il suo personaggio pubblico esattamente alla stessa maniera di come costruisce le sue opere, siano esse articoli di giornale, saggi o romanzi. E' un affascinante affabulatore (si presenta anche bene), lezioso, prezioso ma anche semplice e colloquiale, sa raccontare i romanzi degli altri, soprattutto i classici, meravigliosamente. L'ho ascoltato dal vivo, come una vera e propria Rock-Star, raccontare Moby Dick di Herman Melville (un suo cavallo di battaglia) ed è stato un vero e proprio sballo, da illuminare la sala con gli accendini e “fare la Ola”...le pause giuste, il giusto ritmo, le efficaci metafore del commento, gli ammiccamenti un po' guappi (del tipo, tanto fra noi ci si intende), l'illustrazione perfetta della trama, senza sbavature o digressioni inutili, su cui però gigioneggiare personali variazioni sul tema, anche criticamente acute. E qui sta il punto di riscatto, in quell'anche criticamente acute che ti stupisce. Chi ha visto nel 1994 la serie televisiva Pickwick, del leggere e dello scrivere, o nel 1998 la serie di spettacoli, poi distribuiti sulle care vecchie videocassette, dal titolo Totem, amore per la lettura e la letteratura, sa di cosa parlo. Una performance letteraria ma anche multimediale superba, accattivante, una partitura musicale dove il suono della parola ti cattura e ti rende epifanica (o apocalittica a seconda dei casi) anche la più scontata ovvietà. Lo stile delle sue performances è esattamente il suo stile letterario: un'incarnazione del verbo, e viceversa, un'incarnazione della spettacolarità nel verbo. Che siano articoli, saggi o romanzi, non importa, Baricco ha una “cifra”, il sigillo costante di uno stile piacione, densamente, intensamente piacione. E' vero, l'eccesso di raffinatezza e di piaggeria nei confronti di chi ti legge o ascolta, l'eccesso di belle e originali immagini che si affollano sulla pagina, ancorché ritmicamente dispiegate e con sapiente e piana sintassi costruite, è vero, a volte “stuccano”. Ti danno quel senso di sazietà che può sfumare in nausea. Dove si conferma il paradosso dell'eccesso di misura e controllo che magicamente diventa dismisura e perdita di controllo.
Ma, pur riconoscendo tutto questo, a me Baricco piace, interessa e trovo che dica “bene” le cose che dice e scrive, cose complessivamente niente affatto ovvie, scontate o banali, anzi.
Baricco è uno scrittore barbaro e lo sa. Barbaro per come lo intende lui e per come ci invita ad intendere la “barbarie” in questo libro. Non a caso è uno dei fondatori nel '94 della “Scuola Holden – Scuola di Scrittura e Storytelling”, dove rispetto alle scuole di scrittura creativa ormai tradizionalmente di moda, ci si occupa di multimedialità e anche di stilistica della comunicazione aziendale e professionale.
Non parlerò di Baricco come scrittore creativo, show-man, musicologo, regista o performer letterario, ma sarà necessario spendere qualche parola sul suo lavoro di giornalista-saggista. Consapevole che, nella costruzione un po' dannunziana del suo personaggio, come si è detto poc'anzi, tutte queste caratteristiche, tutte queste “facce”, vi convergono.

Prima dei Barbari Baricco esordisce nella saggistica con L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, del 1992. Un lavoro di estetica musicale sul rapporto fra musica e modernità. Nel 1995 e nel 1998 escono per Feltrinelli 2 raccolte degli articoli culturali comparsi su “La Stampa”, dal titolo rispettivamente Barnum – Cronache dal grande show e Barnum 2 – Altre cronache dal grande show. Nel 2002 pubblica, ancora per Feltrinelli, Next – Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, definito un fast-book da consumarsi in metropolitana dove si promette, dal sottotitolo, una chiave di lettura per il nostro futuro prossimo che in realtà l'autore non è in grado di decifrare (Rodolfo Fioribello). In verità non è così, qualche idea di decifrazione Baricco ce l'ha ma se la e ce la centellina...si offre e ci offre un vino da meditazione.

Tutto quanto sopra, l'interesse e la riflessione sulla contemporaneità, sulla spettacolarità circense che questa contemporaneità sembra portarsi dietro, sulle mutazioni dei tempi etc. prelude e culmina nel 2006 ne I barbari – Saggio sulla mutazione in 30 puntate. E' la raccolta in libro di 30 articoli comparsi su “La Repubblica”. Un altro modo barbaro di scrivere saggi: prima si scrivono articoli di giornale, poi si raccolgono in un libro. E i capitoli li chiamiamo puntate. Quasi una Tele-Novela, ma intelligente e spassosa, profonda ma spettacolare, le cui caratteristiche barbare sono, fra le altre, l'aver appreso e realizzato appieno l'incompiuta riflessione di Calvino in Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio (1984): leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.
Ma Baricco ha altri Maestri e li denuncia in apertura, nelle epigrafi in numero di 4, le soglie, <<che tracciano i bordi del campo. Cioè ti fanno capire più o meno in che campo quel libro va a giocare>>.
La prima è indicativa e ci dice già molte cose su dove vuole andare a parare l'autore, è tratta dal libro La cultura dei vinti di Wolfgang Schivelbusch (Il Mulino, 2006):
<<Il timore di essere sopraffatti e distrutti da orde barbariche è vecchio come la storia della civiltà. Immagini di desertificazione, di giardini saccheggiati da nomadi e di palazzi in sfacelo nei quali pascolano le greggi sono ricorrenti nella letteratura della decadenza dall'antichità fino ai giorni nostri>>.

La seconda epigrafe è uno spezzone di una recensione negativa di un critico musicale londinese della Nona di Beethoven, siamo nel 1824 e in buona sostanza si dice che B. scriveva musica per cervelli superficiali, dediti alla moda, al gossip, alla lettura di romanzi e alla dissoluzione morale (o tempora o mores!). Beethoven, l'avrete capito, era allora il barbaro, divenuto a noi come civilissimo uomo, ovvero un “classico”. E' il Carlo Magno della situazione: frutto delle invasioni barbariche che diventa imperatore. Ormai, un “classico” anche lui.

La terza è lapidaria: <<”Mickey Mouse” (W. Benjamin)>>. Andar via di casa per scoprire cos'è la paura. Topolino, nelle sue avventure, compie costantemente un rito iniziatico: va nel mondo dei barbari. Ma poi ritorna da Minnie.
Walter Benjamin (1892-1940), ebreo tedesco e marxista, è un Maestro molto caro e molto studiato (alcuni dicono “copiato”) da Baricco. Egli lo definisce fotografo del divenire: <<lui non cercava mai di capire cos'era il mondo, ma sempre, cosa stava per diventare il mondo>>, cioè cercava di capire il senso di quello che, qui e ora, definiremmo senza pensarci su come “barbarie”. W. B. per Baricco fu il primo vero grande studioso delle mutazioni in atto.

L'ultima, tratta da un romanzo di Cormac McCarthy. Il romanzo in questione è Non è un paese per vecchi (2005):
<<Non era difficile parlare con lui. Mi chiamava sceriffo. Ma io non sapevo cosa dirgli. Cosa si dice a uno che per sua stessa ammissione non ha l'anima? Perché gli si dovrebbe dire qualcosa? Ci ho pensato tanto. Ma lui era niente in confronto a quello che sarebbe venuto dopo>>. Qui il barbaro che ammutolisce il civile sceriffo è uno spietatissimo killer, fuori da ogni schema di umanità.

Dopo le epigrafi il saggio si avvia a descrivere con mille accattivanti metafore chi siano e cosa siano i barbari. E' un vero saggio di fenomenologia del barbaro, come fenomenologia della mutazione. Per descrivere quello che Baricco definisce come una sorta di animale invisibile, il barbaro appunto, si deve procedere per casi concreti, altrimenti definibili come “casi clinici”. Tanti “casi clinici” messi insieme, i più disparati, uniti come i punti numerati di un gioco di enigmistica, ci portano a disegnare, se non il barbaro, la sua mappa, i suoi percorsi, in pratica la sua traiettoria nel nostro mondo.
Non vi posso dire come va a finire, non sarebbe una recensione il cui scopo è quello di invitare e stimolare alla lettura; creare cioè quella aspettativa, ragionata e ragionevole, del dico-non-dico che evochi l'ansia del lettore.
Ma Baricco qui ci parla con sublime, intelligente affabulazione salottiera di temi come perdere l'anima, di fenomeni di mutazione come respirare con le branchie di Google, ci parla di termini risemantizzati dalla cultura barbarica come: spettacolarità, nostalgia, passato, democrazia, autenticità, educazione.

Ma data la sede, mi intratterrò su una sezione del capitolo iniziale Perdere l'anima. Ovvero, le 2 puntate, i 2 movimenti che parlano del vino: Vino 1, Vino 2.

Lettura n. 1 (pp. 42-45, ed. 2006).
Vino semplice e spettacolare. Un'emozione per chiunque. Parole chiavi del barbaro che saccheggia il vino alla millenaria tradizione di chi ne deteneva i segreti. Nasce il <<Vino hollywoodiano>>: prodotto del barbaro, prodotto della modernità. <<...al primo sorso c'è già tutto: dà una sensazione di ricchezza immediata, di pienezza di gusto e profumo; quando l'hai bevuto, la scia dura poco, gli effetti si spengono; interferisce poco con il cibo, ed è pienamente apprezzabile anche solo risvegliando le papille gustative con qualche stupido snack da bar; … Dato che è manipolato senza troppi timori reverenziali, ha una personalità piuttosto costante, rispetto alla quale la differenza delle annate diventa quasi trascurabile. … Prendete un barbaresco di alto livello e bevete: facilmente sentirete una serie di sensazioni se non sgradevoli, almeno faticose. Facilmente vi verrà da cercare la sponda di un qualche cibo proprio per ammortizzare quelle sensazioni. ...gustare il vino è una faccenda che non riguarda tanto il primo sorso, o gli istanti in cui lo bevete, ma tutto il tempo dopo, la storia che il vino vi racconta dopo...>>. Vini faticosi, difficili, profondi. Vini che raccontano storie sempre diverse (poderi, annate...); vini che non fanno per il barbaro.

Lettura n. 2 (pp. 49-53 ed. 2006).
Quantità sulla qualità. Il barbaro tira a far ciccia. Desacralizzazione dei gesti. Desacralizzazione del prodotto. L'anima si perde anche quando si punta a una commercializzazione spinta. L'innovazione tecnologica è tradimento della tradizione? Il “globalismo” è a volte in realtà imperialismo, altra forma di Colonizzazione economica e culturale.

Bisogna essere capaci di vedere il movimento armonico dell'animale per capire il barbaro, la sua direzione, la sua strategia. I babari compiono gesti, veloci ed improvvisi, sembrano gesti inconsulti ma hanno una logica, non una logica frammentaria, bensì una logica sistematica.

Dopo il vino si parla di calcio.
Le nuove tecniche di gioco, la zona e la squadra che prevalgono sullo scontro diretto, sulla marcatura stretta, sul duello testa-testa, sulla guerra lenta e pesante di posizione. Le 2 puntate sul calcio danno modo a Baricco di aprire uno squarcio autobiografico: il simpatico e nostalgico ricordo delle sue partite parrocchiali...
E' la fine, a distanza di secoli, dell'eroe tragico. Quell'eroe che già all'epoca aveva sostituito l'eroe tetragono Achille, un po' dio un po' robot. E' la fine dell'eroe tragico, della personalità forte nel bene e nel male. Subentra Ulisse e i suoi compagni. Subentra la ferrea divisione dei compiti e, al contempo, la possibilità di spiazzare l'avversario rivestendo più compiti, più ruoli, magari senza più vette di eccellenza, ma dove l'unico scopo è la vittoria della squadra, non l'affermazione di una personalità. E la spettacolarità, tipico attributo barbarico, è comunque assicurata, paradossalmente assicurata da eroi da commedia. Un altro tipo di spettacolarità, quello della velocità e della strategia. Altra mutazione barbarica. Il calcio diventa dunque, come il vino del resto, e i libri e gli altri argomenti di cui tratterà, diventa, dicevo, indizio della mutazione, gesto barbarico. L'indizio come metafora complessiva che rende conto della totalità del fenomeno, che rende conto del cambiamento, della mutazione. Meglio ancora, l'indizio (il vino, il calcio, i libri e Google) che è metonimia del tutto, dell'essenza complessiva del barbaro (il particolare per l'universale, il veloce per il lento, il superficiale per il profondo, il relativo per l'assoluto...).
Il genio è lento, e dunque secondo la logica del barbaro è meglio <<la regressione di una capacità (che) genera una moltiplicazione di possibilità>>. E ancora, <<Un cervello semplice trasmette messaggi più velocemente, un cervello complesso li rallenta>>. La civiltà è analitica, il barbaro sintetico. <<Un sistema è vivo quando il senso è presente ovunque e in maniera dinamica: se il senso è localizzato e immobile, allora il sistema muore>>, e il barbaro è vitalista. Lo pensiamo ingenuo e banalmente superficiale (altro stereotipo) ma forse è un'errato pregiudizio. Sa cosa vuole, e in che modo ottenerlo. Alla faccia del nostro snobismo, della nostra puzza sotto il naso.

Del libro e del suo destino. 3 puntate: la cosa gli interessa particolarmente...
<<L'idea che il mondo dei libri sia attualmente sotto assedio da parte dei barbari è oggi tanto diffusa da essere quasi diventata un luogo comune. Nella sua vulgata, direi che poggia su 2 pilastri: 1) la gente non legge più; 2) chi fa i libri pensa soltanto al profitto, e l'ottiene. Detta così è paradossale>>. E Baricco in 3 succulenti capitoli ci spiega il paradosso, o meglio, ci dice che il paradosso è tale solo se non riusciamo ad avere una visione dall'alto, una visione complessiva che indvidui non solo il singolo gesto, ma la sequenza complessiva. Il libro come gadget. Il libro come istruzioni-per-l'uso. Il libro che informa. Manuali e letteratura. Comunicazione ed espressione.

Pensiamoci bene, quando noi esprimiamo giudizi negativi su alcuni aspetti specifici della contemporaneità (non parliamo più di modernità e post-modernità, basta con le etichette asfittiche), il più delle volte abbiamo ragione e il giudizio particolare è obiettivamente giusto. Se inseriamo invece l'aspetto specifico in una costellazione più ampia, cambiamo il punto di osservazione e assumiamo più dati (cioè maggiori indizi), ecco che la cosa prima giudicata negativamente di per sé, inserita in un sistema, in un campo di relazioni, assume una positività globale inaspettata. Altra lezione di Baricco: il barbaro pensa per grandi numeri e statistiche, e in questo riesce anche ad essere creativo, fantasioso, geniale. Non tutto è oro quel che luccica, ma anche il fango può nascondere dell'oro, se opportunamente rimosso. Invito a vedere le cose dal punto di vista del barbaro.

Dai polmoni alle branchie: la mutazione che si definisce come evoluzione rovesciata.
Da La galassia Guttemberg e la lungimirante teorizzazione del Villaggio globale di Marshal McLuhan, non è una novità che ogni scoperta, o cambiamento o rivoluzione tecnologica, modifichino la cultura, il nostro modo di comunicare e di apprendere. Non è una novità certamente che un nuovo strumento condizioni culturalmente coloro che se ne servono e i loro prodotti. E' l'eterna dialettica fra scienza e tecnologia, dall'invenzione della ruota in poi. Averne coscienza però è stato più lungo e faticoso della scoperta della ruota, forse. Ma ora è un'ovvietà. Il barbaro con Google sta rivoluzionando il sapere, i rapporti fra gli uomini? E dov'è la novità? Da nessuna parte. Cose risapute. Quello che ci si deve chiedere è dove vuole andare l'orda barbarica, che direzione sta prendendo, che scopi ha. Quesiti decisamente più complessi dell'asseverazione di un dato di fatto, osservabile e misurabile.

A volte Baricco sembra spregiare il barbaro, a volte sembra apprezzarlo come portatore di qualcosa di vero e di importante e non come distruttore. Sembra addirittura, dopo aver aspramente criticato certe sue tendenze, ammirarlo e lasciarsi sedurre da un qualche fascino che ancora noi non vediamo, o che possiamo solo iniziare a supporre. Nel capire la strategia e lo stile del barbaro, e della mutazione, così come ce le spiega Baricco, improvvisamente ci rendiamo conto che stiamo scoprendo anche la strategia, lo stile e la mutazione di Baricco stesso, quelli del suo pensiero e del ruolo che riveste nel panorama della nostra cultura. Baricco è uno dei nostri barbari, di quelli che ci sta raccontando. Ma c'è qualcosa ancora che ci sfugge, qualcosa di più.

Proviamo a riepilogare alcune caratteristiche dei barbari, analizzate, sparse e più volte ripetute nel libro:

  • un nuovo concetto di esperienza: l'idea che l'intensità del mondo non si dia nel sottosuolo delle cose, ma nel bagliore di una sequenza disegnata in velocità sulla superficie dell'esistente. Fare esperienza è incontrare un senso, non statico ma dinamico;
  • la superficie dunque al posto della profondità;
  • la velocità al posto della riflessione;
  • la sequenza al posto dell'analisi (Baricco parla di sequenze passanti, in pratica, “correlazioni”);
  • il surf (o lo zapping) al posto dell'approfondimento;
  • la comunicazione al posto dell'espressione;
  • il multitasking al posto della specializzazione;
  • il piacere al posto della fatica.
<<Uno smantellamento sistematico di tutto l'armamentario mentale ereditato dalla cultura ottocenteca, romantica e borghese. Fino al punto più scandaloso: la laicizzazione brusca di qualsiasi gesto, l'attacco frontale alla sacralità dell'anima, qualunque cosa essa significhi>>.

Questa è la mappatura genetica del barbaro mutante che individua Baricco. Vi possiamo aggiungere la spettacolarità già ricordata, il movimento costante (una forma di nomadismo permanente), suscitare più sensazioni di contro ad una sensazione più lunga, intensa e duratura. Una democratizzazione esasperata che diventa massificazione. La logica del mercato e la desacralizzazione di ogni cosa. Tutto diventa citabile, e quindi frammentario, materiale di reimpiego a cui far assumere molteplici forme. Tutto citabile, niente durabile.
Il passato come discarica di scaglie, a cui attingere per nuove costruzioni. La reliquia desacralizzata: Mitologia che si muta in Fantasy.
C'è qualcosa di positivo in tutto questo? E poi, non è che questa mappatura è solo il manifesto di una nuova estetica? Di una nuova fisiologia del gusto?
Quest'ultima domanda è facilmente abbordabile: ogni nuovo modo di sapere e di godere ha riflessi indubbi sul destino politico-economico del mondo. Non si tratta di sola estetica o di sola letteratura, e questo nel bene e nel male.

Sentiamo che c'è quella che gli antropologi chiamano “frattura antropologica”, giustappunto, come già sono avvenute: l'etica aristocratica (onore e sangue) fu sostituita dall'etica del dovere (illuminismo e poi romanticismo). L'etica del dovere si sta sostituendo a quella del piacere? Ma quale piacere? E dove stiamo andando?

Ogni libro si sostanzia anche dei libri passati. E questo di Baricco non sfugge al comune destino. Alcuni ce li confessa lui stesso nel testo. Di altri abbiamo accennato in questa esposizione. Altri ancora ce ne sono:
questo libro forse non esisterebbe senza, ad esempio, l'aureo libello di Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica – Arte e società di massa; questo libro forse non sarebbe stato scritto senza gli studi sulla Società liquida di Zygmunt Bauman, senza la Scuola di Francoforte, e via dicendo per non appesantire.

Alla Gioconda riprodotta su un poster o su un foulard di cui parla Benjamin è debitore, anche nel titolo, il Dioniso crocifisso – Saggio sul gusto del vino nell'era della sua produzione industriale, di Michel Le Gris, filosofo-cantiniere francese e, guarda caso, anche lui critico musicale. Questo libro piacerebbe molto a Baricco (e dice anche molte cose simili). Chissà che non l'abbia già letto. Magari in francese, ed essendo del 1999, potrebbe anzi far parte della sua bibliografia implicita.

Chi vuol capire qualcosa in più dei barbari nella storia e nella letteratura consiglio, infine, del politologo lituano Leonidas Donskis, allievo di Bauman, Potere e immaginazione – studi di politica e letteratura (Arakne Editore, 2012).

Ma con la scusa della bibliografia e dei consigli di lettura sto omettendo qualche risposta alle domande che, insieme a Baricco, ci siamo fin qui fatti.
Nell'ultimo capitolo dal titolo la muraglia cinese (metafora fisica delle barriere al barbaro e al cambiamento), abbiamo 2 passi che vi vorrei leggere: un'esortazione accorata e il sogno di Gengis Khan...(pp. 233-234, ed. 2006).

Non so se condividere totalmente il giudizio positivo di Baricco (con tutta evidenza più tranquillamente barbaro di me).

Ma a questo punto, nonostante i miei buoni propositi, vi ho svelato chi è l'assassino. Leggetelo comunque il libro, ne vale la pena.
I barbari siamo dunque noi, o meglio, siamo ANCHE noi. Il barbaro è ciò che di noi ancora non conosciamo, la parte mutante di noi che sentiamo esserci ma che ci sfugge, la parte mutante degli altri e della nostra contemporaneità.
Il barbaro-mutante ci abita intorno e fuori, e ci sollecita a farci consapevoli del nostro essere “meticci”, ci sollecita, quasi come un imperativo categorico, a conoscerlo esattamente in ogni sua sfaccettatura per poterne trarre il meglio ed inserire questo meglio in quell'alveo che ordinatamente da millenni gestisce la mutazione, ogni mutazione, trasformandola in evoluzione. Alveo che voglio chiamare, con termine un po' obsoleto ed esoterico, Tradizione.
Grazie.

Francesco Parasole

Pozzi di Seravezza, 16 Febbraio 2013 


 


martedì 19 febbraio 2013

Primo Incontro Seconda Edizione

Con una lusinghiera presenza di partecipanti si è svolto il primo incontro della manifestazione presso Il Ristorante Antico Uliveto di Pozzi di Seravezza. Conferenza tenuta dal Dott. Francesco Parasole sul libro " I Barbari" di A. Baricco e con i vini dell'az. La Torre Antica di Gambassi terme.
Ecco qualche foto . 
Al prossimo incontro con il Prof. Paolo Neyroz, il Libro La casa dei Stette Ponti  di Maurizio Corona e i vini dell'azienda Giardini Ripadiversilia.










venerdì 15 febbraio 2013

I sommellier della Fisar Versilia a Un vino Un Libro

Si conferma anche quest'anno la collaborazione tra Un Vino Un Libro e i sommelier della Fisar.
La delegazione Autonoma della Versilia della Fisar ( Federazione Italiana Sommellier  Albergatori Ristoratori ) sarò presente per prestare servizio all'interno della nostra manifestazione con la professionalità e la competenza che sempre li distinguono.




A domani per il primo Incontro:
Dott. Francesco Parasole
16 Febbraio - I Barbari – Saggio sulla Mutazione di Alessandro Baricco
Az. La Torre Antica Grambassi (FI)

lunedì 11 febbraio 2013

Al programma già pubblicato si aggiunge un nuovo appuntamento il 27 aprile con


Gian Arturo Rota e Niki Stefi 

autori del libro :

Luigi Veronelli 
 La vita è troppo corta per bere vini cattivi


 Luigi Veronelli (1926-2004), primo grande divulgatore in campo enogastronomico noto per i suoi scritti e per le sue battaglie a favore della civiltà contadina (non ultime quelle in difesa dell'olio extravergine d'oliva o a favore delle Denominazioni Comunali), viene rievocato attraverso una selezione di articoli e interventi scritti in quasi cinquant'anni di carriera durante le sue innumerevoli collaborazioni a giornali e trasmissioni televisive. È un libro-puzzle, a frammenti rigorosamente in ordine alfabetico (l'unica regola mai infranta da Veronelli: "Esiste l'alfabeto, è così semplice, così chiaro, così condiviso") e ricomponibili attraverso il suo rapporto speciale con il vino, la lettura, la scrittura, la donna, le arti e la filosofia. Aneddoti e citazioni (appunti, disegni, parole, molti gustosamente inediti) si intrecciano a riflessioni e cronache. Libri e trasmissioni televisive, interventi a convegni, improperi, poesie, anagrammi. Tutto convive in questo volume sulla personalità di Veronelli che i due autori, a lui tanto vicini, hanno organizzato in modo da far uscire un ritratto fedele del Veronelli reale, egocentrico e generoso, puntiglioso e permissivo, istintivo e logico, in una parola complesso.








a cusi si accompagneranno i vini dell' azienda  

La Bellanotte 




 Cenni Storici:  La Tenuta fu acquistata da Zaccaria von Baselli Suessenberg dalla contessa Regina Elisabetta von Strassoldo nel 1695. L'antica Villa Baselli, indicata sulle mappe catastali come "la casa dei ronchi", corrisponde alla Bellanotte, attuale nome dell'azienda. L'appellativo le fu dato da un suo antico proprietario che durante una delle sue solite notti passata al gioco d'azzardo, perse e riguadagnò nell'arco di una notte la proprietà. Nel 1980 la signora Giuliana Guadagni divenne l'attuale proprietaria ed ha riportato le cantine all'antico splendore.

sempre alla stessa ore 17,00 e sempre al ristorante Antico Uliveto.