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martedì 8 gennaio 2019

NATALE 2018 SU GOOGLE & DINTORNI Appunti autistici Francesco Parasole


NATALE 2018 SU GOOGLE & DINTORNI
Appunti autistici

Francesco Parasole

Provo a scrivere (ops, digitare!): “Natale”.
Risultati: 369.000.000 (mi aspettavo di più) in 0,43 secondi. La lista inizia con l'immancabile Wikipedia. Poi, “lavoretti”, decorazioni, poesie e ricette.

Allora provo a scrivere: “Natale 2018”.
Risultati: 330.000.000 in 0,47 secondi. Addobbi, vacanze e mercatini. Se vuoi, ovviamente, puoi approfondire, selezionare meglio, e mi si suggerisce di cliccare:


Allora provo, quasi a sfida, a scrivere: “Santo Natale 2018”.
Risultati: 55.600.000 in 0,33 secondi. Hotels, ristoranti e pizzerie, eventi, menu del pranzo del santo natale, immagini di location e due stilizzati angioletti intorno a una culla con sfondo cammellato (sezione: “immagini”).

Mi dico che devo essere più aggressivo, il solo “santo” ha prodotto ben poco di “sacro”. E riprovo con il termine forte e senza mettere l'anno: “Sacro Natale”.
Risultati: 37.000.000 in 0,38 secondi. Campeggia ancora Wikipedia sub vocem “Natale” e te lo spiega (è la stessa voce della prima ricerca, quella più generica/generale). Poi, “Gastrosofia Natale – Sacro e profano”, i concerti di Natale, qualche immagine del Papa. Ci si inoltra, sempre fra sacro e profano, in territori virtuali dall'antropologico al mistico, ma senza esagerare. Nelle prime 7, 8 pagine si insinuano ancora “Regali di Natale”, “Arte sacra” (da regalare), recitine di bimbi negli asili delle suorine, gli orari delle messe in alcuni siti parrocchiali. C'è una certa attenzione all'aneddoto, spacciato per Tradizione, e alle Tradizioni vere e proprie (diciamo così), ma sempre con un occhio che va “dal sacro al profano”. Per non far torto a nessuno, mi sembra giusto. Per non urtare troppo suscettibilità laiche, mi sembra giusto.

Mi diverto e con perfidia (verso me stesso) scrivo: “Spiritualità e teologia del Natale”.
Risultati: 545.000 in 0,54 secondi.

Tolgo “teologia” e benevolmente metto solo: “Spiritualità del Natale”.
Risultati: 15.500.000 in 0,41 secondi. Volevo ben dire. Qui, i siti cristiani la fan da padrone e tutto sommato la numerosità mi sembra soddisfacente.

So benissimo che nei 369 milioni della prima ricerca c'erano tutti i possibili “natali”, anche quelli scritti per sbaglio, e quelli delle occorrenze meno numerose ma più “religiose”, pure la cosa non mi consola. Anzi.
So benissimo che “Natale” l'ho scritto solo in italiano e scrivendolo in tutte le lingue del mondo (ammesso che tutte le lingue del mondo abbiano una parola per “Natale”) i risultati sarebbero stati, sommandoli, “più innumerevoli” (che come comparativo non ha senso, ma rende l'idea). Ma non ho voglia di fare somme, ma soprattutto non conosco tutte le lingue del mondo. C'è qualcosa di più importante, San Paolo – almeno in questo – aveva ragione.

Si snocciolano i milioni come gli anni delle ere geologiche, ma in pochi decimi di secondo. E questo fa pensare, diciamolo.
Milioni di occorrenze, organizzate secondo l'assiologia della maggioranza o secondo criteri economici, tipo quelli delle antiche inserzioni pubblicitarie sui quotidiani.
Milioni di occorrenze (ma occorrono?), cui prodest? Se va bene se ne guarderanno (consulteranno?) 7 o 8...tutt'al più si “sfoglieranno” 2 o 3 pagine, delle migliaia. Che valore conoscitivo (o euristico) ha questo numero esagerato spiattellato con così negligente sprezzatura?
E il fatto che Tu mi dica (mi rivolgo a Google) quanti decimi di secondo hai impiegato a recuperare le milionate di cui sopra...cos'è? Mi vuoi forse stupire? Strabiliare?...Annichilire? E' questo che vuoi? E perché?...mi vuoi far sentire animale sèssile, più di una pianta che pur, in manifestazione di seme, a volte viaggia, e viaggia lontano?
Pensieri pseudostatistici di un ostinatamente rincoglionito laudator temporis acti?

La rete mi profila. Non le interessano prospezioni personalizzate, va bene anche l'anonimia a volte, rispetta la nostra privacy (dice); alla rete è sufficiente il dato statistico da registrare sotto la categoria ontologica di “Consumatore”. Niente di nuovo ormai da anni. Domani troverò molti consigli natalizi utili ad attendermi già alla prima connessione. Lo avrebbero fatto comunque (ma chi?), il periodo lo impone, lo so. Ma ogni ricerca produce i suoi effetti amplificati, veloci e duraturi – i natali non durano a lungo ma gli effetti sì... E in effetti sono qui che mi interrogo. Mi interrogo ma mi rispondo poco o nulla. Cazzeggio fra un'angoscia e l'altra e mi vedo scavare buche nella sabbia, in questo Natale, con un collo che non so se troppo lungo o troppo corto, di sicuro sempre fuori misura a ogni buca che vado scavando.

Le luci dentro le case pulsano. Partita doppia del dare e dell'avere. Abeti per lo più di plastica danno il ritmo a questi giorni santificati a qualcosa. Si vuole che l'aria sia “magica” (e già questo la dice lunga per un approccio antropologico che volesse misurare la percezione e le forme del “sacro” nella civiltà postmoderna). Si vuole che l'aria sia “magica” e che si senta il profumo del Natale. (oscillo incoerentemente fra natali minuscoli e Natali maiuscoli, pazienza)
Si vuole che l'aria...etc. etc. ma è solo freddo e puzzo di scarichi d'auto. Il diesel non va più di moda e i SUV saranno reietti! L'aria ha i brividi di chi corre per le strade, smemorati e ritardatari – partita doppia del dare e dell'avere sempre inconclusa.

Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi” (ma ci si confessa almeno una volta l'anno: a Pasqua).
Prescrizioni (anzi no, “Precetti”) che davano ordine e scandivano la vita, di ognuno e della comunità. Era il kòsmos in cui ti muovevi, che ti conosceva e che tu conoscevi. Anche lui si muoveva con te, talora ti assecondava, tal'altra ti guidava e tu assecondavi la sua guida come il passeggero del motociclista che s'inchina e s'obliqua a ogni curva. Ci si spostava lenti e con una spaziosa armonia di tempi e di luoghi. Quel piccolo mondo ci sembrava finito, nel senso del limite, quel piccolo mondo ci sembrava circondato da un altro mondo infinito. Ma fra finito e infinito ci si viveva bene e belli “come mamma e il buon Dio t'avevano fatto!”. I cenoni di famiglia (Natale), le gite di primo sole fuoriporta con gli amici (Pasqua); ed eri soddisfatto, potevi guardarti intorno e pregustare addirittura la domenica in albis, dove il fuoriporta era più azzardoso e più grintosa e ridente la primavera, o la notte di Capodanno, in cui il gelo era presto sopraffatto dalle generose misure di vino e spumante che stivavi nel corpo come la legna per l'inverno nelle cantine ad Agosto. Liberavi la coscienza nella liturgia pasquale della luce e ti mettevi il vestito buono (rivoltato, adattato, qualche rarissima volta anche nuovo – ma dovevano passare lustri) per la messa di mezzanotte di Natale, al freddo e al gelo delle chieste stipate. Era un mondo in cui ti aggiravi in lungo in largo, di lato, e tornavi sempre nelle stesse stanze a ricominciare da capo; un mondo che si ripeteva con variazioni naturali (nascite, morti). Un mondo circolare, un labirinto in cui t'aggiravi sicuro col gomitolo d'Arianna dato in dotazione fin dalla nascita. Ora la cera per le candele, che ti ustionava le mani e macchiava il polsino del maglione, non si usa quasi (quasi?) più. Girano per le strade ragazzi giocolieri con cerchietti verde-luminescenti come collane o braccialetti rotanti, vagabondano esseri umani con nelle mani dei filamenti trasparenti, protuberanze sottili dal capino lucente lievemente aspidico, serpentelli, lucertole aliene imprigionate e fatte oscillare a ogni passo. La Corte dei miracoli ha cambiato look, i Sans-papiers no, hanno solo in più un cellulare d'ultima generazione, che – per acre ironia e preconizzazione crudele – i creatori hanno chiamato “ Sistema Android”. I natali e le pasque, un tempo polarità rigenerative, sono se vuoi e con chi vuoi, da consumare senza memorie né fedi. Senza né capo né coda, senza “Precetti”. Anzi no, con altri precetti ma mobili, proteiformi e irregolari...sradicamenti connessi in rete... frattalità dell'esistere.

E' Natale non soffrire più...” dice ancora la canzoncina e il dolce canto ammaliator si spande nelle case dalla televisione, lo trovi cantato in mille e mille versioni su You Tube, Sky (per chi è abbonato) ce l'ha nell'apposita sezione “canti di Natale”. E' quel “Bianco Natale...” che ti invita alla purezza della neve, fredda purezza, freddo candore che dovrebbe riscaldarti con la speranza di un mondo di pace, di felicità, di amore ed ergo, senza sofferenza. Si canta di più (o viene più ascoltato) Bianco Natale o il Tu scendi dalle stelle? O l'Adeste fideles? (oggi è il 24 Dicembre, ho scritto su Gooogle ad...e la tendina delle meraviglie ha subito prontamente in cima alla lista suggerito proprio adeste fideles...mi legge nel pensiero!...Come posso non soffrire più?) - Non è proprio il caso di farsi questo genere di domande, al freddo e al gelo.

Semantica dell'adeste fideles: fedeli, poi adepti, poi seguaci, poi...followers...
Quanto ai discepoli, mi guardo intorno e vedo solo maestri e maestrini, ma con tanti followers. Che culo!

Quale delle canzoni di natale a Natale viene più cantata o ascoltata? Sarebbe una ricerca sociologica inoziosa. Ma in questo momento mi accontento (lo faccio quasi sempre) della mia presunzione.
Una data, un evento, un memoriale, bastassero per la sospensione della sofferenza! O, meglio, bastasse una festa ad attivare la speranza che è palliativo delle sofferenze. Quel più, poi, avrebbe anche la pretesa di essere definitivo. In realtà è un'esortazione che si nega. La neve copre, non lava. E il freddo, nonostante la tropicalizzazione delle nostre latitudini, non è fascìna neppure illusoria per il fuoco della speranza. Alla faccia d'ogni parènesi, che si vuole tradizionale e rassicurante.
Penso che le metafore si usurino. Che questo processo c'è sempre stato fin dai tempi di Omero, ma che ora ci sia un di più nella velocità dell'usura e nella mala fede dell'impiego di queste metafore. O, se non c'è mala fede, vuol dire che impersonale, cieco e idiota il Leviatano che è il mondo ci sta inghiottendo nel suo ventre incosciente, con la nostra connivenza altrettanto inconsapevole o impotente.

Tu scendi dalle stellee vieni in una grotta al freddo e al gelo...freddo e gelo sembrano un'endiadi, o piuttosto un climax ascendente. Non solo freddo, ma proprio freddo freddo, insomma gelo. Evidentemente quello degli spazi siderali non bastava, o era più intollerabile, oppure il Paradiso era troppo caldo, come una sauna, per lo più piacevole ma a volte irrespirabile. Evidentemente in quello scendere al freddo e al gelo c'era un bisogno di qualcosa di più terrestre; c'era bisogno della grotta... ma non era una stalla, o una capanna? In questi casi essere filologici non giova e non ha senso. Essere filologici serve solo a rimanere in superficie, e le superfici sono piene di contraddizioni e dove c'è contraddizione c'è alibi.
M'immagino Betlemme come una Rimini in Agosto, tutto esaurito, con in più il freddo e il gelo...e sorrido. L'ingenuità non mi induce a cancellare quello che ho scritto (quod scriptum scriptum, lo disse anche Pilato), in fondo a Natale si ritorna tutti (un po') bambini. E questo mi fa venire in mente la piccola fiammiferaia come figura femminile del bambinello. La fiaba ha solo 96.400 occorrenze, nonostante Hans Christian Andersen, nonostante abbia messo il titolo in italiano, come numero mi sembra un po' pochino. Vorrei aggiungere alla ricerca un: “figura cristica” (o “cristologica”); ma tralascio per evitarmi la frustrazione.

La bontà del Natale (a Natale siamo tutti più buoni etc. etc.- tanto per dire). Sarà decadente ma a volte questa civiltà del tramonto conserva un'ironia, inconsapevole magari, che ne vale la pena.

I propositi per il Natale. Eliminare tutti i vizi capitali meno uno, la “gola”. O forse qualcun altro potrebbe anche essere recuperato, senza far del male a nessuno beninteso; un po' di “accidia”, quel pizzico di “lussuria”, via, possiamo anche permetterceli! Delle “virtù” c'interessa poco, anche a Natale; e delle “opere di misercordia” chi si ricorda? Troppa misericordia verso noi stessi distugge ogni memoria e ogni dottrina.
Si imparava il catechismo a memoria (“mandare a memoria” si diceva; perché questo “mandare a...”? Non esistevano ancora banche dati e memorie remote, separate da noi...). C'era un esame. La suora bacchettava e si facevano “prove generali” prima che il parroco venisse a verificare definitivamente la nostra fede. La correttezza della nostra fede, perché si sa, ogni bimbo dentro di sé – nei suoi sogni e nelle sue fantasie – è un piccolo eretico. Io stentavo a mandare a memoria (di sicuro stentavo a capire – e quello che non capivo non riuscivo a mandarlo a memoria). La suora, nel laboratorio di cucito dove le femmine facevano scuola di ricamo e i maschi catechismo, non mi prendeva ad esempio, mi metteva in fondo alla stanza e cercava di evitare che venissi interrogato. Non era materna clemenza nei miei confronti, era per non fare figuracce col parroco di cui nutriva, secondo il me di ora, un colpevole amore. Proposito per il Natale: pensare a Suor Luisa (così si chiamava) come a una santa. In fondo non mi costa nulla e l'idea mi diverte. Allora, che proposito è? C'era la cultura del sacrificio e della vergogna, allora. Mettetela come vi pare, va bene tutto e avete pure ragione, ma erano due punti d'appoggio che la leva di Archimede in confronto è una giacchettata!

Presepii viventi. E presepii morenti.
San Francesco (in questo Wikipedia mi sembra esaustiva) ne è tradizionalmente considerato l'inventore. “Guazzabuglio medievale!” avrebbe detto il Mago Merlino della Disney. Presepe (18,3 milioni), o presepio (arcaico: 2,9 milioni), (praesepire il verbo antico di derivazione) è parola latina: “recinzione” e “mangiatoia” per gli animali nella stalla (o nel “recinto”, appunto). Questa cosa mi fa riflettere. Ogni rappresentazione è uno spazio recintato, separato, un luogo fittizio di cui, da altri luoghi (reali), possiamo solo essere spettatori. Anche le sacre rappresentazioni partecipano della stessa natura (natura? Essenza? Sostanza?). E la nozione di “sacro”ha in sé qualcosa di “separato” (segato, tagliato...recintato, ancora). Anche gli espulsi da una comunità (anche il capro espiatorio degli ebrei) era “sacro”, in quanto reietto nel rito e maledetto di fatto. La sacralità originariamente era ambigua: segnava di volta in volta il benedetto e il maledetto, il positivo e il negativo. Ma il presepe/presepio è rappresentazione benedetta, e a Natale non possiamo dilungarci in questi disorsi...La mangiatoia (sineddoche della recinzione) ci significa che ogni spettacolo in qualche modo ci nutre, nutre di noi qualcosa (come le esecuzioni capitali in piazza, ad esempio; come i filmati di incidenti, guerre o catastrofi, ad esempio). Che anche Google sia un presepe (IL presepe)? La mangiatoia in cui siamo tutti caduti per una sterminata, bulimica, abbuffata?
L'iconografia è apparentemente infinita, dico quella del presepe, e non mi metto a compulsarla. Ci vorrebbe però un Angelo (osservatore, esattore, registratore, sterminatore) che passasse di casa in casa – nel mondo – per registrare quante occorrenze di presepii ancora vengono messi in scena. Un Angelo-contatore, per dire.
Io avevo pastori in gesso, capanne di legno, fior di farina per neve, cartoni per montagne e per erba vero muschio di bosco. I magi partivano dal punto più lontano rispetto alla capanna e di giorno in giorno li avvicinavamo al bambinello; su scala ridotta sognavamo di un viaggio lunghissimo, nel tempo e nello spazio. L'oro era la luccicanza della stella cometa, la sola concessione alla plastica, che sembrava proiettarci in un futuro opulento, l'incenso era quello bruciato in grani di cristallo nei turiboli delle chiese (che ti faceva lacrimare gli occhi e tossire), la mirra questa sconosciuta fascinazione, questa incognita che aggiungeva mistero al Mistero (e che ora conta 13,5 milioni di occorrenze in 0,40 secondi).
Occupava un'intera cassapanca, il nostro presepio, dove era nascosto, come in un sarcofago, il corredo di mia sorella, messo piano piano da parte per quando si fosse sposata. Lo scatolone dove si riponevano con cura devozionale, dopo l'epifania, gli attori e gli scenari della rappresentazione, fu oggetto di eredità familiare.
Mia sorella, da sposata, si mise a collezionare i personaggi presepiali della Thun (piccoli costosissimi boteri che ad oggi contano 62 pezzi, varianti di colorazione compresi). I miei presepi di anno in anno andarono sempre più a rimpicciolirsi; i re magi si persero nel loro viaggio fra labirinti di dune troppo velocemente ridisegnate da venti bizzarri e fra un'infinità di stelle comete a sciabolare i cieli neanche il tempo di esprimere il più semplice dei desideri.

Riempi gli spazi con pensieri tuoi sul Natale...questa la sorte dei “pensierini”: “test a crocette” e, quando ti va di lusso (ma proprio di lusso!), “domande aperte”, spazi predefiniti da compilare a piacere MA con non più di n° xxx di parole! E' per insegnare la sintesi. Una sintesi talmente sintesi che può fare a meno della tesi e dell'antitesi. Tempo perso quello speso a cercare di imparare a ragionare. Tempo pericoloso, soprattutto. Così, i pensieri tuoi saranno i penseri di tutti, salvando la correttezza politica e la democrazia della rete. Anzi no, la democrazia tout court.

Gli auguri per mail, circolarizzati nei whatsapp a tutta la rubrica. Un tempo non lontano, in realtà lontanissimo, circolarizzati negli SMS (alcuni pensionati, quelli ancora in vita perché di evoluzione cocciutamente lenta, li usano tuttora).
I “se non ci rivediamo/risentiamo più, auguri di buone feste” (natale capo/fine d'anno messi insieme per far prima) – c'è chi si strizza le palle o fa altri scongiuri a quel se non ci rivediamo più -.
Chi fa incetta di agende e calendari facendo il giro di banche e agenzie di assicurazioni. Ognuno fa i pellegrinaggi che si merita...
Per i primi cristiani il dies natalis era il giorno della morte. La morte come (vera) nascita all'altro mondo. Così si rendeva più leggera la vita; anche noiosa, se vogliamo, come una sala d'aspetto. Ma possiamo sopportarla, la sala d'aspetto, possiamo anche soffermarci a sfogliare una rivista letta e stropicciata da molti prima di noi, mentre aspettiamo pazienti il nostro turno. Ma anche questi sono “gesti” (come li chiamerebbe Baricco) che sono andati in malora.
Il mio “Segno” dice che per il nuovo anno dovrò essere positivo e propositivo (anche l'oroscopista gioca con le parole). Positivo e propositivo significa non cadere in depressione, non lasciarsi andare (eufemismo). Tutto ti crolla intorno e dentro, ma devi essere positivo e propositivo, sottintendendo forse il successo. Ma il successo, per definizione, è già successo, e tutto quel che può venire dopo se lo rubrico come “tardivo” mi faccio una cortesia.
Ascolto qualche botto precoce, prova della tenuta esplosiva e rumorosa di petardi venduti nelle tabaccherie, e ho nostalgia, ma non so perché. Non ho mai fatto pazzie da ragazzo per i petardi e le fontane pirotecniche di fatue scintille. I petardi mi hanno sempre fatto pensare ad aggressive pete, ma sicuramente è una falsa etimologia e poi questi non sono pensieri da farsi a Natale.
Poi, lo so per esperienza, ci saranno anche i botti tardivi, a ripulire, a chiudere le feste come una nostalgica ringkomposition, a consumare tutto, ma proprio tutto, il vecchio e il nuovo.
Un amico, dalla spiccata propensione al misticismo, m'invia su whatsapp (ancora, ma è un affollamento!) un jingle bells in cui una ragazza accovacciata di schiena davanti alla telecamera, con un cappello da babbo natale lungo fino all'osso sacro e a culo nudo (un culo portentoso su cui sono dipinte due campane in aurea vernice, una per chiappa), balla al ritmo della musica, muovendo solo e alternativamente le due natiche-campane che sballonzolano, ma a tempo, come burrosi agglomerati in procinto di sciogliersi sulle illusioni di sguardi senili, insomma non proprio come si “scioglievano” le campane nella chiese per la Pasqua di Resurrezione. Davanti a quello spettacolo penso a come anche i simboli si stiano sempre più confondendo.
I Simboli si confondono ormai; potrebbe essere il loro destino naturale (etimologico), ma sento che non è così. Lo sento, e basta.
Altri amici cherubini in eccitazione natalizia mi inviano, in ordine di arrivo: un video e una poesia “buona” su come spendere “bene” il tempo. Del video si richiede, con la solita formuletta da senso di colpa se non lo fai, che venga diffuso il più possibile (le visualizzazioni, se virali, generano sensibilità e ricchezza!). Il filmato è stato girato in un reparto oncologico in cui giovani, troppo giovani pazienti hanno organizzato una festa di Natale con tanto di balletto e canzoncina (il montaggio mostra: corsie luminose di un ospedale, un coro che canta in un immenso ascensore buio, poi, stacco su singoli cantanti che, in una sala di registrazione, con cuffie appese a teste completamente calve, fanno gli assoli previsti – dissolvenza elfica). Sono una sequenza di minuti che non possono non stringere il cuore, ma anche far pensare – e non me lo spiego – a una forma eccentrica di pornografia. La poesia, invece, potrei anche trascriverla ma sento che se lo facessi sprecherei quel tempo che la stessa ti invita a impiegare bene.
Poi ci sono le foto tradizionali, alberi di natale, soprattutto luminosi alberi di natale, ricchi di palle barocche e di auguri, e qualche presepe stilizzato sotto una stella cometa fuggiasca.
Immagini che si rincorrono, si intasano, si intrecciano nell'etere (etere?), che ti rimandano, che mandi e a volte anche tu ri-mandi. Immagini di riciclo. Doppioni dell'era del virtuale. Almeno, una volta, quando si scrivevano solo cartoline d'auguri, ti facevi la lista dei prescelti e spedivi – una volta sola, senza doppioni – magari anche con un tuo dedicato e delicato pensiero. E se ricevevi una cartolina – anche se uguale fra mille -, quel “tanti cari auguri...” pur banali e formali, scritti a mano, avevano comunque il valore di un pensiero riservato solo a te, il predestinato, un pensiero lunghissimo fra lo scrivere il tuo indirizzo, vergare l'augurio e firmarlo. E ogni cartolina diventava il segnalibro dei libri che stavi leggendo in quel momento della tua vita. Pensate che bizzarria!

Del Natale (ma prima ancora dell'Avvento) dicesi “periodo di raccoglimento”. Immancabile in ogni novena, liturgia, omelia. Invece dovrebbe essere periodo di dispersione, per cercare e finalmente accogliere. Disperdersi per raccogliere (ci giro su e intorno, insisto con volontà di ridondanza). Natale dunque, “periodo di accoglimento”. Ma per sapere accogliere come si deve, è necessario sapersi disperdere come si deve. Un'umanità dispersa (anche questa espressione la ritrovi nella liturgia – e l'immagine è quella del gregge senza pastore) un'umanità dispersa che cerca e accoglie è una comunità più unita. Bisognerebbe maggiormene riflettere sulla verità di certi forse solo apparenti paradossi. Natale periodo di raccoglimento, Natale periodo di accoglimento. Ma poi, perché solo a Natale?
C'è un'urgenza e un'emergenza insieme che durano e si trasformano veloci, e richiedono allo Spirito di volgersi nuovamente altrove e ancora, ancora... Rinnovare l'ubi vult a rosa dei venti, di volta in volta secondando e pur guidando le nomadi ruote del carro dei periodi. Barbari, mutanti, migranti...siamo tutti sinonimi.
Una mistica nuova, forse, quella del tacer facendo. Non nuova in fondo, anche perché mi accorgo con una certa delusione estetica che suona come il motto di un corpo militare. Pazienza, m'è venuta così.

Vado a un concerto. Nella chiesa di San Ferdinando (chi era costui?). Assisto anche alle prove, due ore prima del concerto vero e proprio. Il Gloria di Vivaldi, per coro e orchestra, non è di facile esecuzione polifonica. Di solito durante le prove cerco di leggere e mi porto sempre un libro (perché allora vado alle prove e non vado direttamente al concerto?). E' come acclimatarsi all'acqua sempre troppo calda delle vasca, forse è per questo che faccio per lo più solo la doccia. Anche al Natale bisogna acclimatarsi, evidentemente. Il libro (già letto in passato) è Penultime notizie circa Ieshu/Gesù di Erri De Luca (2011 – questa volta su Google, per cercare l'anno di edizione, non è stato sufficiente digitare solo “Penultime...”, ho dovuto scrivere il titolo per intero; non mi “hanno” letto nel pensiero, o erano distratti, una volta tanto!). Le prove mi prendono e la rilettura langue (ed è forse per questo, che è comunque una rilettura, che non mi sento in colpa più di tanto). Comunque, fra un suscipe deprecationem nostram...e un quoniam tu solus Deus...cha a più voci si rincorrono, inesorabilmente incalzati dagli archi, annoto: “sdraiarsi nella polvere per essere richiamati nel tempo immancabile... Tempi d'altra umanità...dove si restava incinta di un annuncio...l'inizio è un caracollio di violini…ungere è, in realtà, più un impregnare...”. Ascolto da una voce sradicata dallo stomaco, senza respiro, un miserere nobis che mi strugge.
Non c'è solo De Luca, qui, ma anche uomini di buona volontà di cui vorrei far parte piena. Il testo latino del Gloria, da cui dipende la nostra traduzione in italiano, inneggia alla “pace agli (per gli) uomini di buona volontà”. Il testo greco differisce. Il testo greco parla di “in terra pace fra gli uomini di retto intendimento”, c'è qualcosa per tutti, allora, nella versione greca, c'è qualcosa di più universale e, se vogliamo, laico. Non che il retto intendimento differisca molto dalla buona volontà, ma lo trovo comnque più abbordabile. La volontà è inflessibile. L'intendimento è tensione, nel cui statuto è possibile il cadere e il rialzarsi, il tentare anche vano, la buona fede malriposta che giustamente reclama clemenza e misericordia. La volontà c'è o non c'è, e mi turba l'aut aut. (In questo caso, ringrazio Google che mi ha dato a disposizione il testo greco in 0,32 secondi, segnalandomi 38.200 occorrenze per “gloria in excelsis Deo – testo”). Per inciso, l'incipit della più famosa preghiera dossologica cristiana si trova attestato nel Vangelo di Luca. Ma valle a capire 'ste associaciazioni...De Luca, Luca, questo Gloria di Vivaldi... 
 
La preghiera va dal basso verso l'alto (come il calore?), anche se questa è da subito un trionfo magnisonante e sublime che ti strappa in 0,001 secondi oltre il fior della pelle.
Ho bisogno di consolarmi, lo scopro d'improvviso come una rivelazione. Ho bisogno di consolarmi per consolare e questo non mi fa sentire in colpa, almeno per oggi, almeno in questa sera, in questo Concerto di Natale, nel gelo di questa chiesa che ora mi semba un forno mentre guardo gli occhi di mia figlia, che si chiama Gioia, e che con lo smartphone (sistema “Android”) registra quella musica mentre cerca di individuare nel coro la figura della madre che canta fra i contralti.

In ufficio, ridotto ai minimi termini, alla Vigilia, in cui si lavora sempre solo di mattina, per la prima volta non abbiamo fatto i brindisi di auguri né mangiato tartine e dolci. “Crisi” conta 97,5 milioni, “disoccupazione” ne conta solo 17 milioni, tondi tondi. Dentro un'emergenza continua alcune urgenze da onorare. E “onore” qui ha perso la parte nobile, per mantenere del crudele gioco di parole, la banale feccia dell'”onere”.
Questo Natale dell'era globale che richiama pecore e pastori (molti), re magi (pochi), angeli della speranza, e imbonitori o guerrafondai che rassicurano le masse (i greggi, tanto per restare in metafora), che richiama alla pace preparandosi alla guerra e stende nastri luminosi su perduranti guerre dimenticate, rendendo ogni cosa così vicina da occultarla, accecandoci senza veggenza, richiama anche i lupi (e come non potrebbe con così tante pecore?): homo homini lupus (da Plauto a Hobbes – rivincita obliqua dello stato di natura) – e sue varianti a piacere (cercate su Google!).

Ecco, a questo punto di questa sorta di effemerica, e forse effimera (lo so, è più forte di me!), narrazione ci sta bene il paragrafo: letture in corso. Le mie letture natalizie. Non che la cosa interessi, lo so bene, e non penso che qui e ora s'innalzi l'attenzione assopita dell'eventuale lettore generico e indistinto o di quello (sempre eventuale) distinto, compìto e di egregia personalità.
Comunque, in questo periodo ho fra le mani nell'ordine: L'uomo invaso (racconti) di Gesualdo Bufalino, Stranieri residenti – una filosofia della migrazione di Donatella Di Cesare e The Game di Alessandro Baricco (dono di natale di mia suocera da me occultamente pilotato...perché per manifesta antipatia ho da tempo deciso che Baricco me lo faccio solo regalare). Di Bufalino mi piacerebbe realizzare, con umiltà, un canone inverso (è troppo sublime!), della filosofa Di Cesare mi piacerebbe riuscire a distillare un manuale pratico, del tipo Guida a... (è troppo rigorosa!), di Baricco ne farei una traduzione più sincera, meno sussiegosa/leziosa e rispettosa delle fonti, che usa e non dice – in specie quelle di pensiero (è sempre troppo gigione!). Ma soprattutto eliminerei quell'ottimismo narcisista, malcelato da una problematicità di maniera, che patentemente trasuda dalle sue, sia pur condivisibili in parte, analisi della mutazione in atto. E questo già ne I barbari, di cui The Game è continuazione, approfondimento e aggiornamento. Un ottimismo che non trovo né in Bufalino né nella Di Cesare; e quest'assenza/essenza naturale me li rende più cari e sim-patici.
Mi sento un guardiano di rovine che interpella invano l'Immenso Assente...dotato di una distratta veggenza, mi sento viandante circondato da un cimitero marino, migrante stanziale che si prova a considerare ogni terra non madre ma sposa, a considerarsi straniero per meglio comprendere l'altro. Un meteco ma ai tempi di Platone, che l'aveva vista lunga su certe cose. Poi mi dico che se fossi stato davvero un meteco, Platone non l'avrei visto nemmeno col binocolo e allora mi tranquillizzo un po' per questa mia distanza, che pur mi privilegia e mi rende “contemporaneo” (ma a chi?). Stizzisco della presunzione sia pur veritiera (e magari c'è anche un po' d'invidia, lo confesso; vizio ahimè non natalizio) di chi, troppo seducente e curioso del Gioco, con intelligente e magistrale colpo mi invita a “rovesciare la mappa” e a non chiedermi quale tipo di mente ha creato Google, ma quale tipo di mente ha generato l'uso di Google. Ogni libro mi rende perplesso, e forse proprio questo è lo scopo dei libri, renderci perplessi come antidoto ai nostri delirii di onnipotenza, al nostro borioso “tirarsela”, alle nostre credulonerie da eccesso di informazioni.
Nel periodo dedicato alla più elevata celebrazione dell'Incarnazione, e questo già da un paio di millenni e rotti, il corpo è diventato prima progressivamente, più velocemente ora, il relitto supremo di cui disfarci (altri tipi di fitness si profilano, vedrete!); ogni realtà si disincarna e per le generazioni in corso e a venire i guadi di vita si fanno più numerosi, infidi e complessi.
(“Incarnazione” fa 1,9 milioni, “disincarnazione” fa solo 60mila e rotti e, udite udite, “fitness” è a quota 3,150 milioni).
Un esempio azzeccato (tratto da Baricco, ahimè!): Amazon ha fatto morire le Latterie. Ora rinascono locali “citazione delle vecchie latterie” (Carofiglio in un suo romanzo aveva inventato l'”Osteria del caffellatte”). Direi che riguardo ai libri che ho per le mani può bastare...ma prima di chiudere:

Semantica della citazione: citazione...poi, copia-incolla (c'è differenza, c'è differenza... credetemi sulla parola!).

Oddìo, ancora rincorso da mille pensieri (i miei pensieri sono solo riferimenti, ma mi accontento), un paio di postille ci sarebbero, anzi tre.

Postilla 1 – a proposito di semplicità e complessità. Nella commistione di questa ormai realtà di due mondi, che attraverso la Rete e le AP(plicazioni) ci faciliterebbe la vita, apparentemente senza intermediarii (“Sacerdoti” li chiama Baricco, copiando e non lo dice), in questa commistione, gerarchizzata da algoritmi “democratici”, dove la verità è stabilita dalle “pagine” più cliccate, in questa commistione, dicevo, ci si perde come in un periodo troppo lungo da sostenere...ma il paradosso è che se l'algoritmo è complesso, la sintassi è di una semplicità mostruosa.

Postilla 2 – a proposito del sacro. Il mondo digitale compresso, leggero e veloce è entrato nel mondo materiale, esteso, pesante e ancor lento; un ossimoro: un'incarnazione disincarnata (e disincarnante). Il mondo digitale, zippato, ha reso confini secondari il virtuale e il materiale. Il sacro ha sempre avuto bisogno per de-finirsi del trascendente. Senza Trascendenza non c'è sacralità della vita e mistero di vita. Non più “la Vergine partorirà un figlio”...Ecco, o mio ideale Teofilo, io penso che il virtuale sia diventato una sorta di degradazione eonica del trascendente, una sua pallida ma omnipervasiva rappresentazione tecnologica, ad uso e consumo (soprattutto consumo) dell'homo novus, questo sogno di un'ombra (Pindaro) senza speranza e destino di rendenzione o, almeno, riscatto. Si è tagliata la testa al Minotauro. Ma è ancora Natale e ancora si fanno riecheggiare nel deserto delle chiese le ostinate antiche parole dei profeti. Si è tagliata la testa al Minotauro, ma ancora una “Vergine partorirà un figlio”, con la genetica, certo, o col viatico del più autorevole degli Oracoli. Ci saranno nuovi calendari e nuovi altri natali, e di anno in anno calendari e natali li sceglierete voi...sarete liberi di cliccare sul natale a voi preferito e di consultare i responsi di Google certi delle verità, complici delle verità del Nuovo Pitone.

Postilla 3 – leggo (ancora da Baricco!...non me ne libererò mai...) che su You Tube ogni minuto vengono caricati (alleggeriti) 400 ore di video. Per me c'è di che avere qualche problema in più con la nozione di tempo. Mi dico che ci vorrebbe un nuovo Heidegger che scrivesse almeno un'appendice (dei paralipomeni, ma che dico!, degli aggiormenti, o, piuttosto, un tutorial) a Essere e tempo. Poi, mi ri-dico, che sarebbe come attendersi la spiegazione della teoria dei quanti dall'uomo di Neanderthal.
La parola “uomo” mi fa venire in mente altre cose. Si parla di “migrazione dei dati”. E tutti intenti a questa operazione dimentichiamo volentieri altre tragiche migrazioni. O le minimizziamo, o ci fanno paura (la polarità è meno impegnativa delle sfumature). Soluzione: ma se trasformassimo anche l'uomo in un dato (perché, non lo è già?...una voce dal fondo...), ecco che il gioco è fatto (the game) e possiamo anche metterci la coscienza a posto. Voilà! Puah!

Finisco così e qui questi miei esercizi di autismo. Allenarsi è importante. I fatti son ben poca cosa. Ma ci sono e, quindi, la narrazione continua. Pranzo di Natale in famiglia. Classico. Ritrovarsi anche con chi durante l'anno non ci siamo cercati. Mangiare molto e molto parlare di argomenti volatili, non urtare suscettibilità solo sopite, retorica della reticenza, affetti che comunque (oh, stupore!) ci sono, ci sono ancora. Scambiarsi regali più poveri con la sorpresa di sempre. L'esercizio del ricordo, qualche amnesia che viene prontamente risolta da una rapida consultazione sullo smartphone, ma senza eccessi. Lo so che un tempo ci saremmo alzati e, raggiunta la libreria, con la mano sospesa a scorrere i volumi, avremmo estratto risposte come da una dispensa domestica di scorte, patrimonio del focolare...avremmo magari indugiato, confrontato con altri reperti e nuovamente riposto la reliquia nel suo sacrario, soddisfatti della ricerca. Tutto questo lo so e lo ricordo come un gesto elegante, una cortesia d'altri tempi. Mi sorprendo a stare bene, ad essere quasi felice. La mia è una golosa felicità endorfinica: trangugia dolci e si sente venialmente colpevole. Scopro di non annoiarmi, anzi.
Aspetto Santo Stefano, il protomartire. Aspetto – con un po' d'ansia in verità – l'ultimo dell'anno, perché vorrei che il prossimo fosse migliore. Ce la metterò tutta, parola di lupetto! Aspetto l'Epifania come un'etimologia che finalmente si avveri. Ma ringrazio comunque per l'anno che scivola via.
Intanto, mia figlia ricorda di quando cantava Astro del ciel...con un'infantile ma significativa variazione...Nastro del ciel...(e lo vedo, ora, quel “nastro” a infiocchettare tutto il cielo, ma soprattutto il mio orgoglio di padre).
Mio figlio, Giorgio, tiene in braccio con nobile e fiera tenerezza SOFIA, mia nipote. Sono nonno da poco più di due mesi, è bellissima e solo Lei meriterebbe altre 10-100 pagine (per amore e per abituarmi a un'idea, nuova di millenni, che si è incarnata, al contempo e per polarità che si attraggono, in Lei e in me)...: scintilla di stellare essenza, il miele dolce del suo respiro, un sudore profumato e leggero a separarla dal mondo recente, come un'ostinata reliquia onirica dell'amnios che l'avvolgeva nel suo cosmo uterino. Consapevole professo d'eresia, con Lei ho compreso il senso dell'Adorazione Eucaristica nel ventre oscuro delle chiese, a mala pena illuminato da esili teorie di candele.
Cera, frutto della fatica delle api”, mi sembra dicesse un'antica liturgia pasquale – se ben ricordo, ma non vado su Google. Mi piace l'idea che lo scarto possa considerarsi dono prezioso, che la cera, frutto secondario per la logica umana dell'operosità delle api, assurga al podio dell'oro, dell'incenso e della mirra. Mi sento la cera di quelle candele, mi sono consumato, illuminando poco e con luce incerta, ma anche da questa materia di carne, da questa semplice, povera cera molliccia, è nata Sofia. Non sto scivolando nel rincoglionimento, improvvisando prove di barocco smelenso (a proposito di cera e miele), tranquilli!...E' orgoglio che si nasconde maldestramente e senso del tempo che si trascorre nel fremito residuo di un vento fuggiasco. E' adorazione che tenta, inutilmente, malamente, di farsi parola. Come chi ha un pensiero eccessivo ma non sa trovargli parole (Bufalino)...e si appoggia a quelle di un altro o china il capo all'ineffabile (che c'è, lo giuro, io lo vedo).
Sofia è “sapienza”, tutti lo sanno e se non lo sanno vanno a vedere su Google, quando si deve scegliere il nome. Evito esoterismo mistica e gnosi. Ma spero, con un'intensità tale che possa raggiungere le stelle (il desiderio), che sia nomen omen. Lo desidero per Lei. Ne abbiamo bisogno.
In fondo, cosa abbiamo in più delle incertezze dei cavernicoli? L'evoluzione, l'oltremondo digitale hanno forse dissipato le nostre paure? In qualche modo ora siamo più coscienti della nostra cecità, e questo per molti (i molti?) risulta tanto intollerabile da farci connettere a un mondo omologato per drogarci di un'allegra tristezza, di una libertà atona ed eteroimposta, di passioni tristi (come direbbe Miguel Benasayag). O forse, più semplicemente, la tribù si è allargata e la caverna pure, per necessità (ma quale?). E nella grotta, sfrattati i protagonisti del Miracolo, ci stiamo assiepando per riscaldarci meglio, meglio sgomitare, ma anche per consolare le nostre paure, accettando come vere le ombre proiettate sulla parete. In questo abbiamo trovato la nostra perfezione, ma ciò che è perfetto è “portato a termine”. Una volta per tutte. E allora mi dico che sì, c'era bisogno, c'è bisogno di Sofia.

Per sfida, o tresca con me stesso (direbbe Bufalino), digito con un refuso: “Nitale”.
C'è!, sono deluso (che fa rima con refuso, accipicchia!). C'è, ed è un villaggio dell'India e conta 102mila occorrenze, ma con le varianti (fra cui un “Nital” soluzione di acido nitrico e alcol usato per incidere i metalli).
Riprovo ancora: “Nitale”... niente da fare … scorro le pagine: villaggio, composto chimico e ammennicoli vari... speravo in un più logico “forse cercavi...Natale...?”, o in un più beffardo: “forse cercavi Pitale...?”. Che, nel caso, mi avrebbe quasi convertito. Non si sfugge alla perfezione di Google!
Potrei ulteriormente cimentarmi con tutte le restanti vocali...netale, notale, nutale...ma non ne ho voglia e, ormai per fede stanca, credo che comunque ci sarebbero dei risultati. Google conosce anche le parole del caso! Tutto è attestato, tutto è perfetto, non ci sono refusi in questo mondo. O se ci sono, sono perfettamente rubricati.

Penso che ci sarebbe bisogno di un altro momento aurorale. Di un refuso, qualcosa d'inattestato, senza occorrenze, di unico e irrubricabile. Di un “errore di sistema” che ci facesse ripartire, ricominciare addirittura. Questo mi innervosisce di begli spiriti la pelle e m'intriga e m'inquieta, lo sento un dovere da nonno, una responsabilità che devo a Sofia.
Allora mi sorge spontanea (se qualcosa sorge è sempre “spontaneo” direbbe Paolo Nori), la preghiera per questo Natale (e per quelli che verrano, finché potrò pregarli):

Fa' che in questo mondo s'incarni il Refuso,
fa' anche che ognuno abbia il suo da condividere con l'altro
ma senza metterlo in rete.
Fa' che ci sia l'inciampo e lo scandalo (come di pietra)
ma senza confusione di lingue o senza la lingua del solo algoritmo.
Fa' che qualcosa di unico possa continuare a stupirci e a farci sperare.
Facci crescere oltre la tecnologia e facci assaporare i limiti
del nostro esserci e dell'essere nomadi, tutti.
Facci essere sempre tutti stranieri,
per avere il coraggio e il piacere di conoscerci di giorno in giorno nel viaggio.
Facci accogliere lo scarto, l'errore, come l'obliqua significanza
del soffio di luce che crea nel mistero.
Dacci la gioia – fuori dal protocollo della statistica -
di una ri-velazione che s-veli e al contempo nasconda, per meglio amarlo,
il senso della nostra esistenza.
Amen!

Francesco Parasole