Come di consueto, per chi, sfortunato lui, non ha potuto assistere alla conferenza del Dott. Francesco Parasole , riportiamo la relazione per esteso.
Buona lettura!
Una
certa idea di Baricco...
Storia
dell'oltremondo in un libro analogico
con pretese
digitali
“THE GAME”
(Einaudi 2018)
Soglie per chi
non ha voglia di leggerlo tutto (il libro del Divino o questa noterella
recensoria):
Un'esperienza
piuttosto reale a parte di non esserlo affatto
(la trovate a una pagina che non trovo più e
ridiscussa a p. 91).
«Molte
persone provano a cambiare la natura degli umani,
ma
è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura
degli
umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano,
cambiare
le tecniche. Allora cambierà la civiltà»
(frase di Stewart Brand, vero
Guru della rivoluzione digitale,
la trovate a p. 108 – Commentari all'epoca classica).
Perché
misterioso è l'incrociarsi delle civiltà, quando accade.
E
ingiudicabile il passo sghembo dell'intelligenza degli umani
(la trovate a p. 133 – La colonizzazione –
bella, tonda, senza alcun difetto).
Si parla già di trilogia, e Baricco si intende anche
di marketing: Next. Piccolo libro sulla
globalizzazione e il mondo che verrà (Feltrinelli 2001, rist. 2015), I Barbari. Saggio sulla mutazione
(Feltrinelli 2006, rist. 2013), THE GAME
(Einaudi, 2018).
Nell'edizione di un Vino...e un libro del 2013 mi
provai a parlarvi su I Barbari,
spulciando il nostro Blog ritrovate il testo dal titolo “L'invasione dei
Mutanti – Eroi non tragici e gesti citabili”. A distanza di sei anni, pur nel
risottoscrivere la sostanza dell'intervento, ne cambierei la seconda parte del
titolo: “Eroi inconsapevolmente
tragici in gesti citabili”; ma forse
metterei anche in discussione il termine “eroi”; le parole dovrebbero ancora
avere un peso.
Può sembrare paradossale, lo so, ma un di più di
pessimismo storico-esistenziale, che dopo sei anni ci può anche stare, mi
impone queste variazioni. All'epoca ci interessammo, fra l'altro, del discorso
sul “vino standardizzato”, un vino senza sorprese ma anche senza anima. Del
resto Baricco è consonante a barrique,
con il portato di affinamento e raffinatezza che nell'immaginario palatale ne
consegue, per chi (lo) beve e lo legge.
Fateci caso, quando si parla di un nuovo libro di
Baricco si finisce per parlare sempre e quasi solo di Baricco come
“personaggio”, e il piano inclinato per questo facile scivolo ce lo dà lo
stile, affabulante, gigionesco, un po' ruffiano e, a tratti, presuntuosetto,
come quei vini godibili proprio perché senza personalità, senza anima. Quei
vini che vogliono piacere a tutti (ma proprio a tutti!).
Baricco, secondo voi, sa di essere una griffe, o addirittura (scegliete voi) un
brand? … Lo sa, lo sa ... Ed è questa
consapevolezza troppo vertiginosa a lasciarmi sempre un retrogusto di
antipatia, anche quando mi dice il vero, anche quando mi racconta cose giuste e
mi narra storie interessanti. Anche quando, come in queso caso, si prova da par
suo a convincerti che hai torto, ma sotto sotto la pensa come te e vive
brillantemente dissimulata da par suo la stessa inquietudine, lo stesso «sgomento». Comunque questa volta vorrei evitare di
parlare dell'autore performer e
limitarmi al libro. Ma sarà dura.
Al libro, si diceva, e ai suoi dintorni, quello che gli addetti ai lavori chiamano il
“paratesto”. Il libro si presenta, anzi è
uno schermo di computer, nero nero con una sfera piccola piccola al centro (il
pianeta Terra, di lieve trascurabile opalescenza), conseguentemente, immagino,
le nostre mani sono il mouse, i
capitoli, i paragrafi e i sottoparagrafi sono finestre, cartelle, links; ach! manca il “cestino” (ma del
Verbo di Baricco non si butta via nulla!).
Il nome dell'autore in bianco sparato e il titolo in
rosso vivo saranno, e la liquido così, per mettere in leggibile risalto solo
l'informazione che danno, dopo tutto quel nero e la pallina di cui sopra. Ma
penso anche, per il rosso sangue e il nero, ai colori dell'anarchia.
La terminologia usata è quella informatica, l'invito
totalmente esplicito è quello a usare
il testo come un ipertesto e a farne
una lettura tipo Wikipedia o come in
una navigazione in rete. Del resto, “consultare” è ormai forma desueta di
“navigare”, come potrebbe dirci un arcaico dizionario con velleità mal riposte
di aggiornamento. Insomma, THE GAME vuole giocosamente essere mimesi di un PC,
in sole 330 pagine circa, illustrazioni cartografiche, ringraziamenti e indice
analitico compresi. Anzi no, mi correggo, non un PC; questo libro, ormai nobile
reperto decaduto (un «fossile»), si presenta,
a sfogliarlo, come un videogame. Un videogame che ci parla di se stesso. Un meta-videogame, direbbero a questo punto
i soliti addetti ai lavori. E allora rilevo che l'esperimento si “configura”
come un'operazione barbara dal cuore novecentesco. Baricco è anche allitterante
con “barbaro”. Ma a questo punto non ci resta che giocare.
Vi è una sezione A, titolata Username e Password
(evidentemente Baricco dà per scontato che ci siamo già registrati), la schermata principale per dire, e si entra; poi ecco
la sezione B, Play e quindi si inizia
a giocare. C'è quindi la Storia, il racconto di questo Gioco, con capitoli tradizionali ma diacriticamente infarciti da
freccette, box, riassuntini denominati screenshot,
postille, sequenze in maiuscolo (evidenti agevolazioni del “programmatore” per
farci capire cosa si deve tenere a mente come fondamentale), un uso imponente
di parentesi quadre al posto di quelle tonde e altre possibilità di
fruizione-guidata della pagina-schermo. La sezione C Maps è quella delle mappe, della cartografia geologica del fenomeno
e infine la sezione D è il Level Up,
l'estrema frontiera (sicuramente non l'ultima), per «solutori
più che abili», come direbbero quelli della Settimana
enigmistica. Una sintesi in 25 punti (invece di tutto il libro potete
leggervi solo il Level Up, se avete
nervi saldi, indomito intelletto e accettate l'idea che anche Baricco possa
mettersi, sacrilegamente, felicemente in discussione).
Si discostano, da questa nomenclatura, i capitoli
detti Commentari a...alla fine di
ogni sezione, quelli più originali e interessanti (insieme al Level Up epitomico e inquieto di cui
sopra). Commentari a...dove l'autore
da fare lo splendido passa a una sincerità, sempre controllata certo, che quasi
ci commuove e ci affratella. Nell'ordine: Commentari
all'epoca classica, Commentari
all'epoca della colonizzazione e Commentari
all'epoca del Game.
A me poi, dinosauro dell'era analogica, Commentario suona piacevolmente arcaico
(libresco) e anche all'autore che però lo definisce più disinvoltamente «vintage»; e mi ricorda Giulio Cesare, i suoi
Commentarii sulla Guerra Gallica e su quella Civile (Commentarium de bello gallico e Commentarium
de bello civile); mi ricorda che il “commentario” è diario, memoria storica
personale di eventi degni di nota redatta dal loro protagonista (magari in
terza persona, proprio come fa Cesare); e per associazione penso che per i
romani quando si parlava di Historia
s'intendeva la “cronaca” di fatti contemporanei a chi li aveva visti, vissuti e
raccontati, mentre l'opera storiografica propriamente detta – il racconto dei
fatti antichi – erano gli Annales,
che nel loro nome denunciano la scansione del tempo adottata e l'ineluttabilità
dell'archivio. In questa opera-videogioco Baricco si fa (hi-)storico dell'Era
Digitale, un po' alla Tacito, ma senza la potenza dello storico romano, né il
rischio di una proscrizione imperiale.
Nonostante il libro-videogame Baricco ibridamente, o
in maniera meticcia, struttura The Game come
un manuale di storia (volume unico) dal 1978 al 2016 con incursioni fino al
2018 (proprio mentre lo scrive, il manuale appunto): l'epoca classica (che sono
gli inizi), la colonizzazione e il gioco finale, la contemporaneità di tutti i
post, dai post-it alla post-esperienza e alla post-verità, al post-post
infinito (quest'ultimo però non lo trovate, ce l'ho messo io perché mi suonava
bene).
Come in tutti i manuali di storia ci sono i nomi,
soliti, dei protagonisti della rivoluzione digitale/virtuale, alcuni noti (tipo
Steve Jobs), altri meno noti (tipo Stewart Brand o
Tim Berners-Lee). Si precisa poi che esiste una folla anonima di ingegneri,
solo quasi tutti ingegneri, maschi, bianchi. Si registra un'unica donna,
Caterina Fake (facendo ironia sul cognome), che la dice lunga sul maschilismo
anche del mondo digitale. Ma è la diffusa, sostanziale anonimia di questi haker
che mi preoccupa. Che siano buoni o cattivi, nerd o spietati uomini d'affari
della rete.
Io, ad esempio, ho un caro amico haker
(lo giuro!), che vive in un borgo medievale dell'aretino (giuro anche su
questo!), si occupa di sicurezza informatica, è misticamente afflitto dall'overflow (traboccamento) di informazioni
nei sistemi (che per me è arabo!), vive come un templare nell'oltremondo, di
cui è uno dei custodi sparsi per il mondo vero, e riesce ancora a essere
ottimista. E' un genio, ma non credo che “passerà alla storia”. Come Baricco.
Ottimista, intendo, non templare o genio, ovvio.
A una prima lettura di THE GAME avevo concluso che quello che «affascina»
(sic!) Baricco, a me mi angoscia. Poi, riflettendoci su, ho concluso che sotto
questa fascinazione dichiarata si nasconde (con emergenze notevoli nei Commentari e nei soliti 25 punti
riassuntivi del Level Up) la stessa
mia angoscia, il novecentesco cuore pulsante di Baricco. Nonostante tutto.
Tiè!
Su lingua e stile che dire, è lui nei suoi migliori
travestimenti. Impiega reiteratamente parole chiave anche in coppie oppositive:
“novecentesco” (che sta per tutto quello che viene prima della
rivoluzione/insurrezione digitale, in pratica dall'anno 0 al 1960 circa) vs Era Digitale; “gesto” (lento,
immobile e quindi “novecentesco”) vs “movimento”
(Era Digitale). E poi gli piacciono parole come “traiettoria”, “mappa”, “cartografia”, come quella degli
Atlanti Storici che non usano più: disegnata per aggiunte progressive, dalla
Pangea (“novecentesca”) alla deriva dei continenti e alla formazione dei
sistemi montuosi. Qui lui parla di vertebre, corrugamenti, sistemi montuosi e
fossili dell'Era Digitale (che va scritta con la maiuscola, tipo Cenozoico).
Parla di «vibrazione» etica-estetica
(esistenziale?) della realtà antica, dicendola assente nel mondo digitale, per
poi recuperarla questa «vibrazione» anche per
l'oltremondo. Segue i suoi pensieri, si contraddice (volutamente e lo ammette),
ci rende partecipi del travaglio analitico e al contempo sintetico che compie
per farci comprendere la rivoluzione non più in atto ma compiuta. Poi, in uno
sbocco di umiltà-sincerità, ammette che questo suo peregrinare barbaro e
saccente in realtà serve anche a lui per capire, per comprendere ciò che è
successo e sta succedendo. E allora è ridondante, si ripete, ci gira intorno
alle cose, ai fenomeni. Ma questa ridondanza è pensiero nel suo farsi, è
pensiero nel suo processo compositivo, sono ripetizioni non sterili, ma
aggressioni soft da più versanti di
una catena montuosa apparentemente semplice, ma in realtà complessa. Sono
quelle ripetizioni/variazioni sul tema che si chiamano “punti di vista” e che
fanno letteratura. Quel miracolo per cui la stessa storia, magari una storia di
sempre, a seconda di come la racconti può essere una cagata (come direbbe Lui)
o un'opera d'arte.
Dai binomi oppositivi si passa poi a sostituzioni
trinonimiche: uomo-spada-cavallo sostituito da uomo-tastiera-schermo, passando
per calciobalilla-flipper-videogame (ma siamo già oltre, ci rivela il Nostro). In questa rapida
conversione trinitaria se ne saltano alcune di sequenze che si danno per
scontate (che so, manoscritto-libro tipografico-libro digitale, e via dicendo).
E si ritorna a un altro binomio, questa volta non oppositivo ma estensivo
quello di una «umanità aumentata»:
uomo-smartphone o se preferite uomo-IPod, immerso totalmente nelle App. Immerso completamente nel suo
ossimorico «individualismo di massa». Sintesi,
questa, di posture e conseguenti atteggiamenti mentali indubbiamente efficaci
per spiegare la rivoluzione antropologica che stiamo vivendo.
Ma attenzione: così come nel libro si
dice che non esistono più le vecchie latterie, ma solo citazioni delle vecchie latterie, e che nel Game in cui viviamo
«un'esperienza (risulta) piuttosto reale a parte di non esserlo affatto», così
non crediate che questo stile sia il risultato di un'esultante spontaneità.
Baricco è controllatissimo, consapevolissimo di ciò che scrive e di come lo
scrive. E' la sua sublime «sprezzatura», così come descritta e praticata da
Baldassar Castiglione nel suo capolavoro di inizi XVI sec. Il Cortegiano.
Ma spoileriamo un po' velocemente: The Game ci racconta che dopo le
atrocità del novecento, una nuova generazione (anni '60) decise di ribellarsi e
fuggire da queste atrocità, dalla civiltà che le aveva causate e dall'élite che
le avevano guidate. La fuga prese tre
vie con queste proporzioni statistiche: su 10 fuggiaschi, 5 erano hippies, 3
manifestanti contro la guerra del Vietnam e 2 programmatori di computer,
ragazzotti californiani o giù di lì. Alla lunga (di non tanto in fondo) vinsero
quest'ultimi e il mondo analogico fu trasformato in mondo digitale, leggero,
libero, veloce, superficiale, senza mediatori – che Baricco chiama «sacerdoti»
– senza élite...con l'ossessione del movimento, l'idea del gioco come unica
possibilità oltre che di fuga, di riscatto. Un'operazione carsica e
ineluttabile di giovani ingegneri (maschi, bianchi, californiani – l'ho già detto
ma ribadisco) anarchici votati a liberare il mondo divertendosi (magari).
L'autore, spendendo pagine e pagine,
vuole convincerci (e vuole convincersi) che i 2 programmatori (si sta parlando
di un dato statistico, ricordo) avevano una consapevolezza per così dire
ideologica della rivoluzione che si accingevano a realizzare. Tutta questa
consapevolezza io non la vedo, francamente. E Baricco non riesce a persuadermi
fino in fondo e forse non riesce a persuadere nemmeno se stesso. Si leggano
bene i Commentari.
Passo passo si seguono gli sviluppi,
aiutati dai disegnini. Dai «marzianini» di Space
Invaders (1978) a Google, Amazon, Facebook...alle App...epeirogenesi, formazione di continenti. Baricco è più
modesto: parla di corrugamenti e formazioni montuose veloci, silenti,
ineluttabili e pervasive.
Ci sono due assunti fondamentali da
tener presente perché degni di nota e che potremmo definire 2 “rovesciamenti”:
a) Il rovesciamento dell'impostazione
tradizionale che si è sempre data alle analisi delle grandi trasformazioni
tecnologiche. Baricco ci invita a non chiederci che tipo di
trasformazione/mutazione delle menti hanno creato o stanno creando gli sviluppi
della tecnologia (tipo negli anni '60 Marshall McLuhan, della Galassia Gutenberg e del Villaggio globale), ma a chiederci che
tipo di mente, chi era quella mente
che ha creato la tecnologia digitale.
Ci invita a domandarci chi è il barbaro responsabile. E per lui, barbaro è
termine sicuramente positivo. Ma cui
prodest? (questo primo rovesciamento, dico)
b) Il secondo “rovesciamento” che
Baricco ci chiede di fare è quello della matafora dell'iceberg. In realtà più
che un rovesciamento in questo caso si tratta di un ripensamento e di un
riposizionamento di questa metafora. La questione ha a che fare con la coppia semplicità – complessità. La civiltà
analogica era un Iceberg rovesciato: la sua superficie era dunque pesante,
elefantiaca, complessa, necessitava di mediatori esperti che, identificando il
terreno buono, scavassero per raggiungere e offrire ai popoli la sintesi e
l'interpretazione unitaria di questa complessità. Il lavoro era lungo, lento,
faticoso e raggiungere il senso
implicava dedizione e sacrificio.
La civiltà digitale ri-rovescia
l'iceberg (sembrerebbe il massimo della naturalezza): affonda la complessità,
appannaggio dei “risolutori più che abili”, e lascia solo alla vista la punta
lucente, snella e levigata, pronta al facile uso. Lascia ai popoli la sintesi
di un “gioco” (The Game), quindi un non-lavoro breve, veloce, leggero e
divertente, il senso facilmente
fruibile in un tocco del touch screen. Questo gesto Baricco lo
chiama «carezzar farfalle».
L'autore non è così ingenuo da non
riconoscere che dietro questa operazione un'élite (sommersa e inquietante) si è
sostituità all'élite “novecentesca”. Ma apparentemente minimizza. Vuole minimizzare. Mentre io, invece,
sto qui ad agonizzare e a chiedermi, insieme che so a McLuhan, a Galimberti e
ad altri dinosauri del pensiero novecentesco, che cosa sarà di noi e dei millennials! E penso alla più abusata
citazione da Il Gattopardo come a una
Verità Rivelata. Baricco invoca, senza citarla espressamente (forse perché
novecentesca), l'eterogenesi dei fini:
si parte con un ideale rivoluzionario e si finisce col capitalismo
avanzatissimo di pochi Zuckerberg o Bezos, con la manipolazione delle menti ad
opera di un gioco tanto pesante quanto apparentemente il più leggero mai creato
sulla faccia della terra. L'eterogenesi dei fini è analogica, ma evidentemente
persiste (e bene) anche nel mondo digitale.
Baricco cita molti eroi di questo nuovo
universo, ma si guarda bene dal citare filosofi e intellettuli del passato
(anche quando li usa, e li usa pesantemente nelle parti critiche più
intelligenti del libro).
Un esempio per tutti: quando ci parla
dell'uomo aumentato, dell'uomo digitale della post-esperienza che concepisce la
macchina come “naturale” estensione di se stesso. Bene, io quella estensione di
se stesso la chiamo “protesi” e questo concetto ricordo che era già stato
espresso in un'operetta del 1929 di un certo Freud, Il disagio della civiltà. Allora, per favore Baricco, dai a Cesare
quello che è di Cesare (Commentari
compresi, non a caso).
L'uomo nuovo della nuova civiltà che si
va profilando (cito), «in un sistema in cui il mondo e l'oltremondo digitale
girano uno nell'altro generando un unico sistema di realtà, (non può) mettersi
lì a tracciare la linea di demarcazione fra reale e irreale in Fifa 2018, gli sembrerà curioso almeno
quanto mettersi a separare le verdure in un minestrone, o chiedersi se gli
angeli sono maschi o femmine o transgender. Sono angeli, ecco cosa sono»
(p.92). Ma perché mi chiedo «non può mettersi lì a tracciare la linea di
demarcazione fra reale e irreale»? Poi mi rispondo, come secondo me si risponde
implicitamente anche il divino autore, perché non può più farlo. Non lo vuole fare, non lo sa più fare, non gli interessa farlo, e tutto diventa reale
(vale tutto in questo gioco!).
Bene anzi male, io pavento questa
rinuncia (mi ripeto come Baricco) «a tracciare la linea di demarcazione fra
reale e irreale». Perché sarà pur vero che ora la realtà è a doppia
propulsione, ma non credo che queste 2 propulsioni vadano sempre all'unisono o,
qualora ci andassero anche, magari parliamone...sugli effetti, dico.
Fra un device e l'altro, fra un tool
e l'altro, fra un «fossile» e l'altro (solo Baricco può già parlare e
praticare paleontologia e archeologia dell'Era Digitale!... troppo oltre, il
ragazzo...), fra un «siate affamati! Siate folli!» di uno Steve Jobs di turno,
che più che un'esortazione alla creatività giovanile ormai mi suona inquietante
e armato del retropensiero dei vari Bezos – che
poi con la vostra fame e la vostra follia ci pensiamo noi a far soldi... –
, insomma fra tutta questa congerie complessa di storia zippata, dove fame e
follia restano anche quelli di sempre, l'autore arriva ad ammettere che al Game c'è chi vince e c'è chi perde (ma
va?), non invocando la “selezione naturale” (va bene darwiniana, ma pur sempre
ottocentesca, cribbio!), semplicemente presupponendola.
Questa epoca (frammento di tempo – sospensione – punto di fermata – questa
è l'etimologia del termine) è “l'era del non più e del non ancora”, un'era
“caoszoica”, dove è possibile solo migrare o, se va bene, essere
permanentemente nomadi. Dove a ogni Ulisse non sarà più permesso il ritorno, ma
solo navigare, senza “virtute e
canoscenza”. Un'epoca in cui non sappiamo se prevarrà il caos o quel lògos eracliteo che permetterà ancora
alla vita di sussistere in qualche ordine di multiforme persistenza. Fra
Apocalittici e Integrati si sta, e con noi Baricco, in una “Terra di mezzo”
sospettosi e inquieti, a giocare col
nostro futuro. Forse equidistanti (ma non è detto) fra l'apocalisse e
un'integrata nichilistica liquefazione. Migranti o nomadi? Millenaristi o
ottimisti con cautela? Totalmente in fuga perché proiettati e protetti dentro
le nostre estensioni? Introflessi, estroflessi o crisalidi abortite?
Postilla 1 (direbbe il Nostro): per me
l'etimologia (la profonda verità della parola) probabilmente mi fa lo stesso
effetto dell'algoritmo di Google per quegli oscuri matematici che
quotidianamente (si dice) lo perfezionano. Un'esoterica libidine.
Postilla 2 (come sopra): per me questa
realtà a doppia propulsione concentrica, mi fa lo stesso effetto come di essere
su un tapis roulant della Technogym
(pubblicità gratis), con i soliti auricolari a scaricarti musica solitaria
nelle orecchie, e tu a correre, correre, sempre fermo lì. Il corpo suda e si
rinvigorisce certo, pur senza un cielo, una terra, un paesaggio che ti scorra
incontro. Un artificiale onanismo.
E concludo – Game Over.
Al posto di (o meglio, insieme al) THE GAME di Baricco, leggetevi della
filosofa Donatella Di Cesare l'ultimo libro, Sulla vocazione politica della filosofia (Boringhieri 2018).
In effetti il titolo non è accattivante,
ma sono solo 153 pagine (note e bibliografia esclusa). Un libro smart, veloce,
leggero, dalle traiettorie fulminanti, scritto benissimo – nulla da invidiare
allo stile del nostro profeta – con immagini brillanti e agili, ma ahimè
novecentesco.
Vi cito solo l'inizio, quasi un'afflitta
poesia, titolato l'immanenza satura del
globo:
«Non c'è più un fuori.
Appare così lo stadio ultimo della
globalizzazione».
Leggetelo, perché di tutto questo
Baricco non parla, tutto intento a tranquillizzare intelligentemente se stesso
e l'Occidente saturo.
Anche l'era digitale (spero) avrà
bisogno, sempre più bisogno, della capacità di formulare le domande di Socrate.
Di concepire di nuovo quel “fuori” (che alcuni di un era analogica chiamarono metafisica) che ci permetta di
riconoscere ancora l'Altro, che ci
permetta ancora di condividere e sognare.
Pozzi di Seravezza, 16 marzo 2018
Francesco
Parasole