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martedì 22 marzo 2016

La relazione del Prof. Paolo Neyroz

Ecco di seguito la relazione del prof. paolo Neyroz.
Colgo l'occasione per ringraziare il professore per la disponibilità e la simpatia, il Produttore per la cortesia e la competenza negli interventi, Cristina e  Massimo per la cucina e l'ospitalità, La Fisar Versilia per l'amicizia e la competenza dei suoi sommelier.
Buona Lettura!!

foto di Urano Cupisti

"Il più mancino dei tiri" a Dino Zoff: Da Edmondo
Berselli a “Dura solo un attimo la gloria”.

Incominciamo con lo spiegare il perché del rapporto tra “Il più mancino dei
tiri” ed il libro di Dino Zoff “Dura un attimo la gloria”. Perchè trovo che il libro di
Zoff sia la prova sperimentale della teoria fornita nel libro di Berselli:
La Memoria è l’unica cosa che conta nella vita. Conta solo quello che si
ricorda. Memoria nel senso di sforzo mnemonico, ricostruzione individuale e
collettiva di nomi, avvenimenti, canzoni, squadre e campionati che portano
alla configurazione di un passato condiviso.
“Il più mancino dei tiri“ viene pubblicato nel 1995 e ripubblicato con una
postfazione da Arnoldo Mondadori Editore nel 2006. Il libro, che scorre
veloce, porta il lettore alla fine senza quasi rendersene conto. Con un
divertimento che sconcerta perchè se ne perdono le origini, di quel
divertimento. Di fatto, ridendo e scherzando, Berselli affronta temi di profondi,
come suo solito. Arturo Parisi, intellettuale e politico abituato a spezzare il
capello in quattro (un tetrapilotomologo, moteggiava di lui Umberto Eco) ne
da una fotografia precisa quando, invitato dallo stesso Berselli, a dare un
giudizio del suo manoscritto gli scrive: “Occhio. E’ un libro che può
cambiarti la vita. Nel senso di metterti nei guai. Perchè ci sono schiere di
studiosi che certa roba l’hanno studiata per decenni, nelle loro accademie,
con una fatica improba e maturando un sussieguo altissimo e chiarissimo,
e tu gli dimostri che puoi parlare delle stesse cose su una gamba sola,
saltellando tutt’intorno, con un cucchiaio in bocca e senza far cadere la
pallina. Qualcuno se la prenderà”.
L’opera ha una sua complessità che può essere dissezionata se si considera
che ogni capitolo è come un tema di un esecuzione musicale in cui i diversi
aneddoti, da cui quel tema prende spunto, ne potrebbero rappresentare la
melodia. Ed ogni tema segue il proprio filo secondo un armonia generale che
riporta continuamente alla dicotomia esistente tra caso e necessità, tra il
risultato che ci si aspetta da uno schema impostato ed organizzato e quello
che ne deriva quando in gioco vengono messi limiti o grandezze individuali.
Da qui prende ragione il titolo che ci riporta ad una metafora, un’azione di
gioco ideale nella quale Mariolino Corso (il mitico inventore interista della
punizione a foglia morta), facendosi scarso interprete dello studiato e preteso
schema dell’allenatore Hellenio Herrera, caracolla goffamente per il campo e,
ricevendo casualmente palla, si avvia, scartando avversari, nella direzione
meno congeniale al progetto-schema ed arriva a trovarsi in una posizione
balisticamente proibita per centrare la rete, ma sbilanciandosi indietro e
colpendo di esterno destro provoca una parabola impossibile che si insacca.
A questo riguardo sono rappresentativi due aneddoti proposti lungo lo
svolgersi della Commedia berselliana: Uno riguarda Manlio Scopigno a cui
venne chiesto se il suo Cagliari aveva uno schema e lui “certo che abbiamo
uno schema: Greatti prende palla e la passa a Nenè che crossa in mezzo
all’area per la testa di Boninsegna... ma poi avviene che il cross sia lungo e
imprendibile per Boninsegna. Alle sue spalle si è appostato però Gigi Riva
che ha intuito la traiettoria e si coordina per una rovesciata al volo che si
insacca nel sette! Ora, è più importante lo schema o l’uomo Gigi Riva e la
sua capacità?”. Il secondo aneddoto riguarda l’affermazione dell’allenatore
dell’Argentina Alfio Basile: ”Sono bravissimo a disporre gli uomini in campo, il
problema è che, al fischio d’inizio, loro cominciano a muoversi”!
Della citata dicotomia tra caso e necessità, Berselli non ci dice apertamente
da che parte stia, ma rileva semplicemente che: “Come la fede nell’ideologia,
così l’idolatria per l’organizzazione è destinata a scontrarsi con gli
innumerevoli anarchismi della vita”.
Su questa considerazione fondano tutti gli aneddoti che la memoria
dell’autore mette in fila a sostegno della sua storia. Una storia che viene,
appunto, ad essere fondata sui propri ricordi. Così: “si comporrà come per
incanto lo spaccato di un epoca, il carnevale di un mondo: un
popolatissimo affresco in cui compaiono Suarez e Mazzola, Gimondi e
Berliguer, Giulio Andreotti e Omar Sivori, Comunardo Niccolai e Pietro
Ingrao, Raffaella Carrà e Gigi Riva”.
Passo importante ed iniziale del libro è come si giustifica l’autorevolezza della
memoria, di quei ricordi su cui fonda l’analisi storica che viene proposta al
lettore. Si ricorda come il grande storico Fernand Braudel (eccezionale
accumulatore di dati) abbia scritto un trattato fondamentale degli Annales, il
celebre “Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II” rinchiuso in
una baracca in un campo di prigionia durante la Seconda guerra mondiale...
e lo scrive a memoria senza nessuna possibilità di consultazione.
Al tempo stesso si fa notare come questa storia non sia una storia che
poggia la propria prospettiva del tempo “sulle spalle dei giganti” (Robert K.
Merton), i classici; ma sulle spalle dei nani: noi che viviamo nei bar, in auto o
in treno, nei salotti o davanti alla televisione.
E così ci porta per aneddoti di diverso tipo: politica, calcio, giornalismo e
letteratura; a riprodurre quell’azione ideale di Mariolino Corso, senza schemi,
anzi contro ogni schema, ma che giunge al goal.
Un passaggio di Rivera allude al sublime, ma anche al corridoio dei passi
perduti di Montecitorio dove Berlinguer e Moro studiano inedite alleanze in
forma di assist.
Un corollario a questo modo di divagare per aneddoti e costruire questa
storia condivisa, ma minore, ci porta all’origine del mito o dell’epopea.
All’origine dei poemi omerici, dove probabilmente un arte poetica più grande
delle altre è stata in grado di organizzare i ricordi della gente comune, di
gesta e battaglie, in forma di poema.
Una pagina memorabile è dedicata all’effetto propiziatorio che si può
verificare quando la condivisa volontà popolare si materializzi in un desiderio
irrinunciabile. Si parla di Comunardo Niccolai celebre stopper del Cagliari e
protagonista di memorabili (appunto), anche se non numerosi, autogol.
Siamo al Comunale di Bologna. “Mentre al Comunale di Bologna ... Fermi
tutti: innanzitutto bisogna sapere cos’è lo stadio del capoluogo emiliano.
Una cattedrale laica consacrata allo spettacolo dove non si assiepano
iracondi tifosi, ma sofisticati intenditori. L’animo del vero intenditore di
calcio è pervertito quasi quanto quello del gourmet. Non è forse vero,
come teorizza Paul Bocuse, che tutta la grande et vieille cuisine della
tradizione gallica tende impercettibilmente, insensibilmente, fatalmente
alla merde?...
I viziosi petroniani, gli epicurei felsinei sono celebri da decenni in tutta la
penisola perchè - caschi il mondo - applaudono il bel gioco, anche se
malaugaratamente espresso dalla squadra ospite. E, in quei bei tempi di
transizione dai pali quadrati ai pali ovali, trattano ancora il calcio con
ironia maggiore della passione. Brisa fanatismo please. L’importante è il
gioco di squadra, e la classe dei singoli uomini, e la “tennica”. Qualcuno
valuta un tale atteggiamento un esempio di cultura e civiltà superiori. Ma
non potrebbe trattarsi di una più complicata forma di piacere, una
dissipazione edonistica impreziosita dal gusto, un capzioso pervertimento
feticistico? Che cosa c’é di meglio della sottile sofferenza indotta dalla
bravura altrui?
Al Comunale di Bologna, dunque in una piovosa domenica di tardo
inverno, succede qualcosa di irripetibile. A metà del secondo tempo della
partita con il Cagliari, il Bologna perde uno a zero. I petroniani - o i
felsinei? - attaccano a testa bassa , ma la difesa cagliaritana non cede. E
allora, prima un tifoso da solo, poi qualche decina, fra cui l’elegante
giureconsulto Mancini e l’irsuto filosofo Santucci, e da lì a poco, alè, tutto
lo stadio all’unisono, tribune, distinti, numerati, curve, prende a scandire
come un coro greco ‘Nic-co-la-i, Nic-co-la-i’, e Comunardo non tradisce
le aspettative. Allorché salta retrocedendo a sgraziati saltelloni come uno
sfortunato Angelus novus per respingere di testa, e a causa di uno sbilenco
bernoccolo metafisico, affiorato lì per lì fra i radi capelli bagnati infila
grottescaemente la propria rete, ciò che importa non è l’implorato
pareggio del Bologna: è la realizzazione di un avvenimento lungamente
invocato ed evocato attraverso una sapienza arcana, il solidificarsi delle
attese collettive, l’inneffabile che finalmente si compie, come un’utopia
sciagurata che si invera in questa valle di lacrime e di risa, come una
comica Apocalisse che si attua, come un sospiro di sollievo della Storia,
finalmente soddisfatta e placata” .
Comunardo Niccolai è personaggio importante per questo libro, in quanto
insostituibile di quella squadra per aver fissato nella memoria comune “le
gesta omeriche di Gigi Riva, la tetragona cattiveria di Boninsegna, la
precisione architettonica di Ricciotti Greatti, il diligente talento del sobrio
brasiliano Nenè.”. Aggiungerei, del filosofo e allenatore Manlio Scopigno.
Ho avuto modo di conoscere personalmente Comunardo Niccolai, quando
per venire in Versilia da Bologna, ci si fermava con mia moglie e mia figlia in
un centro sportivo, scovato per caso, per mangiare qualcosa e Comunardo di
quel centro gestiva il ristorante. Dopo un po’ di tempo si creò una certa
familiarità e quando se ne offriva l’occasione Comunardo si sedeva al mio
tavolo a parlare di calcio “con il professore di Bologna”. Ne ero lusingato e
col tempo iniziai a fargli domande più precise di quel Cagliari. Mi regalò una
delle immagini più belle di Gigi Riva, ne avrebbe fatto felice Edmondo
Berselli, ma anche...Omero.
Antefatto dell’antefatto, a Manlio Scopigno non andava bene che i suoi
giocatori fumassero, anzi non lo voleva proprio. Antefatto, il Cagliari di quel
campionato non andava, veniva da diversi pareggini e diverse sconfitte, la
squadra era decisamente in crisi, la stampa dava contro a Scopigno e
Scopigno non sapeva esattamente se la squadra era con lui. Si è alla vigilia
di una partita importante, hall di albergo dopo cena, i giocatori accomodati in
poltrone fumano intorno ad un tavolino. Ora, di quella squadra facevano parte
Albertosi, Boninsegna, Domenghini, Cera, Niccolai appunto, tutti nazionali e
parecchio famosi, ma il leader indiscusso era Riva. Un monumento sportivo,
leader anche della Nazionale e uno degli attaccanti più quotati del mondo.
Non lasciò mai la Sardegna da giocatore, non per i soldi, sentiva che per
quella bistrattata regione lui poteva essere un simbolo e quel simbolo poteva
aiutare le povere economie di quella regione e di quella gente. Il suo nome
poteva spostare stampa e opinioni. Bene, sono tutti li quando compare
Scopigno (non cenava mai con la squadra) che secco fa: “Gigi metti via
quella sigaretta”. Cala il silenzio-gelo, in un attimo tutti i compagni ebbero la
sensazione della sfida che si stava giocando, se Riva avesse disobbedito
tutta la squadra era con lui e Scopigno fuori; ma Riva, con gesto lento e
deciso mise la sigaretta nel portacenere, accompagnandolo con un: “Scusi
Mister”. Il messaggio era chiaro, da qui se ne esce solo uniti, uniti con
Scopigno nostro allenatore. La squadra si riprese e tornò in alto.
Un immagine che mi è rimasta dentro: quella del condottiero che non teme di
affrontare un gesto di sottomissione, perché ha lucida coscienza del proprio
ruolo. Anzi, quel gesto di umiltà amplifica il senso della sua forza e della sua
grandezza. Mi verrebbe da dire il gesto di una persona educata, perché
l’Educazione si insegna, la vita ce la può insegnare, ma bisogna poi saperla
apprendere e metterla in pratica. Può dare risultati inattesi nella statura di un
uomo.
Dino Zoff è un’altra persona educata. Nel suo libro ci porta attraverso i suoi
ricordi ad attraversare un periodo storico, non solo di calcio, non solo le
annotazioni di un campione del mondo. Se si va sui siti della grande
distribuzione editoriale si possono scorrere le recensioni di questo libro, ed
una nota comune a tutte è la sottovalutazione che se ne dava prima di
leggerlo.
Esattamente come pareva chiedere Berselli alla memoria, da quei ricordi si
configura di nuovo un affresco del periodo storico attraversato dall’autore,
con i suoi personaggi. Con le sue pagine Zoff dimostra, se ce ne fosse
bisogno, che del racconto della realtà si puo fare poesia... quando la si sa
riconoscere, sentire e, come in questo, caso raccontare.
Personaggi ed interpreti tanti, paesaggi ed interni anche. Un film che scorre
fluido dalla giovinezza all’età matura.
Iniziamo dal profumo dell’erba, che un portiere non può fare a meno di
portare dentro di se, un giocatore di altro ruolo non può, corre e gli sfugge.
Poi il padre, che gli insegna che “chi molto sa, poco parla” e che le parole
vanno misurate perchè hanno un significato. Un padre passato attraverso
due guerre mondiali e che vive del lavoro dei campi, un padre che lo segue
con distanza riservata, che gli impone prima lo studio a scuola, ma non gli
impedisce l’avventura nel calcio. Anzi, piano piano lo segue in quella sua
passione e attraverso quella gli trasmette il senso della responsabilità. Di una
partita in cui Zoff figlio si lamenta per aver preso un goal per un tiro che non
si aspettava commenta “scusa, ma tu te lo dovevi aspettare, fai il portiere
mica il farmacista”!
E per chiudere con i ricordi del padre: “Mi accorsi che era una cosa più
seria quando mi regalò una bicicletta nuova. Intanto mi ero trovato un
lavoro da aiuto meccanico, ma una bicicletta così non me la sarei potuta
permettere. Ci aveva pensato Mario... il suo modo per incoraggiarmi.”.
Tutta una serie di memorie che ci fanno sentire come Dino Zoff abbia fatto
riferimento per tutta la sua vita alla sostanza e non all’apparenza,
all’assunzione delle responsabilità personali, piuttosto che allo scaricare su
altri le proprie. Quando poi del proprio corretto operato ha piena convinzione
non fa sconti a nessuno, come quando si dimise da commissario tecnico
della nazionale, dopo aver perso i Campionati Europei del 2000 al golden
goal. Poche parole, distillate in una notte, dopo aver ascoltato le dichiarazioni
critiche del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi: “... Dal signor Berlusconi
non prendo lezioni di dignità. Non è giusto denigrare il lavoro degli altri
pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un uomo che fa il suo
lavoro con dedizione e umiltà. E' stato offeso un uomo e la sua
professionalità, è mancato il rispetto per un lavoratore e questo io non
posso accettarlo”.
Non lo poteva accettare l’uomo Zoff, che dopo aver vinto un Campionato del
Mondo nel 1982, si era visto scrivere personalmente dal Presidente Sandro
Pertini con l’invito ad andarlo a trovare al Quirinale quando volesse. Dino
Zoff, amico di Alberto Arbasino, di Vittorio Sermonti che gli aveva fatto
conoscere Dante Alighieri, di Nini Rosso, ma anche amico di Francesco De
Gregori e ammiratore delle canzoni di Francesco Guccini (anche se non
poteva andarlo a trovare a Pavana, ma gli sarebbe piaciuto).
L’affresco si va poi completando con alcune figure fondamentali come il
compagno-fratello Gaetano Scirea, a cui invidiava la costante serenità sia in
campo che fuori. Mai espulso in una partita, caso più unico che raro per un
difensore, ne da l’immagine più bella fuori dal campo di calcio. Quando,
andando insieme in vacanza a Punta Ala (dividevano tutte le vacanze estive)
ricorda di come si scusasse in continuazione con i vicini di ombrellone per il
disturbo causato dagli ammiratori che lo circondavano per chiedergli un
autografo. Altri tempi? No, altri uomini. Anche Scirea un uomo educato.
Infine, vale la pena di ricordare le diverse sequenze che ci raccontano del
suo rapporto con l’Avvocato Agnelli. Sequenze che definiscono la transizione
storica tra due mondi: Quello precedente all’assunzione di potere
predominante da parte dei detentori dei diritti televisivi e dei media, e quello
posteriore.
Arrivato a Torino da Napoli, Dino Zoff non ha difficoltà ad adattarsi al regime
aziendalista di quella scocietà. Come si amministrava la FIAT, così si
gestivano i contratti dei giocatori della Juventus. Vigeva la legge dei risultati:
hai raggiunto tanto ti do tanto, non hai raggiunto tanto, non ti do tanto.
Molto divertente la fotografia del rinnovo successivo alla mancata conquista
dello scudetto nel 2000 per la sconfitta con la neopromossa Perugia. Agnelli
fece trovare ai giocatori (sei campioni del mondo più Boniek e Platini, ci
teneva a precisare l’Avvocato), le fotografie di tutti giocatori del Perugia
allineate sulla sua scrivania. La trattativa poi iniziava, ricordando al
malcapitato con chi aveva perduto. Zoff, che per il cognome era sempre
l’ultimo a superare la soglia dell’ufficio dell’Avvocato (ordine rigorosamente
alfabetico), dice che vedeva passare davanti a se tutti musi lunghi... Non si
aspettava nulla di buono e così fu, ma quell’epilogo lo accettò con la
rassegnata consapevolezza che le regole erano quelle.
Non andò nello stesso modo anni dopo, quando, da allenatore della
Juventus, avendo vinto Coppa Italia e Coppa UEFA si sentì dire dall’Avvocato
(questa volta in villa) che aveva deciso di “svecchiare” e lui non era più nei
programmi della società. Zoff ricorda però che Agnelli in quel periodo aveva
ceduto lo scettro di presidente a Luca Cordero di Montezemolo e
probabilmente la scelta fu sua. Montezemolo, infatti, si era invaghito del
“calcio champagne” di Gigi Maifredi al Bologna. “Calcio champagne” che
derivava da essere stato, il Maifredi, prima di fare l’allenatore, rappresentante
di champagne. Il vento dei media sportivi aveva spinto quella scelta, non la
competenza o la regola dei risultati. Il mondo era cambiato. Ma poi, anche in
quel mondo cambiato, Maifredi non durò alla Juventus più di sei mesi e fu
l’unico anno in cui la Juventus non vinse nulla. Qui Dino Zoff si prende una
rivincita: Avevano messo da parte un buon barolo d’annata, per un cartone
di champagne modesto.

mercoledì 16 marzo 2016

L'incontro del 19 marzo prossimo: i libri di cui si parlerà.

Il prof. Paolo Neyroz a a scelto di dare un'impronta "calcistica" ad alcune tematiche  di cui parlerà nella conferenza ; per saperne di più dei libri  aggiungiamo qui sotto i link alle recensioni:

http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/04/23/news/libro_berselli-3555364/




http://www.gazzetta.it/Calcio/22-09-2014/zoff-si-inventa-scrittore-dura-solo-attimo-gloria-90524322651.shtml?refresh_ce-cp







Vi aspettiamo come al solito alle 17 presso il Ristorante Antico Uliveto di Pozzi di Seravezza il 19 marzo prossimo.

Per chi vorrà cena con i produttori e il relatore a 25 euro  di cui riportiamo di seguito il menù
Visualizzazione di Paolo - Giardini.jpg




sabato 12 marzo 2016

Tra una settimana l'incontro con il Prof. Paolo Neyroz e i Vini di Giardini Ripadiversilia

Mancano oramai 7 gg. ( il prossimo 19 marzo alle ore 17 presso il ristorante Antico Uliveto di Pozzi di Seravezza) , all'inizio del secondo incontro del ciclo Un vino... Un libro.
L'incontro che vedrà la presenza come relatore del Prof. Paolo Neyroz docente all' Università di Bologna , si incentrerà per la parte "letteraria" su due libri sul mondo del Calcio : " Il Più mancino dei Tiri"  di Edmondo Berselli e " Dura un attimo la gloria" di Dino Zof.



Per i vini dell'azienda Giardini  Ripadiversilia, avremo in degustazione  il Colli e Mare 2014
( vermentino) e Vis Vitae 2012 ( Cabernet s. , Merlot e Syrah).


L'ingresso è gratuito

Alla cena che seguirà al costo di 25 euro avremo in Degustazione Colli e Mare 2014 e Vis Vitae 2009 e 2006.

Menù

Salumi dell'Alta Versilia con Crostini e panzanelle

Tordelli al ragu'

Arista di maiale al forno con patate

Assaggio di formaggi e mieli

Alla cena saranno presenti i produttori ed il relatore.

mercoledì 2 marzo 2016

Terre di Toscana 2016 - il vino nella sua forma migliore.

Si è conclusa felicemente la manifestazione Terre di Toscana con successo senza precedenti di pubblico e produttori presenti.
Una occasione per conoscere le eccellenze Toscane del vino attraverso il racconto dei produttori.
Qualche foto dell'evento