in memoriam
Coccodrilli
di nome e di fatto
I
classici sono quei libri di cui si sente dire di solito:
«Sto
rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»
…
Il
«tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti
serve
per
definire te stesso in rapporto e magari
in contrasto con lui.
ITALO
CALVINO
E va bene. Va bene
tutto. Va bene il revisionismo, se fatto con rigore, buona fede,
necessità di continua interrogazione (che è l'essenza della
ricerca), bisogno di sempre più cogenti verifiche. Va bene
“rivedere”, se qualche “dato” o “fatto” non ci torna, se
si aggiungono altri “fatti” e “dati” che prima non erano
disponibili. Va bene anche sottoporre lo stesso fenomeno, lo stesso
argomento, lo stesso campo di ricerca ad un'analisi da varie
distanze, da vari altri punti di osservazione o sistemi di
riferimento. Per verificare se una teoria regge, se una teoria va
modificata o radicalmente cambiata. Per dare un contributo ulteriore.
Va bene tutto.
E vanno pure bene le
voci fuori dal coro, quelle
delle persone oneste, intelligenti e di buona volontà che,
pensandola diversamente dalla comune opinione (quale essa sia), non
vogliono avallare giudizi di comodo ma pacificamente e serenamente
esprimere il proprio di giudizio, in spirito di
verità (e diciamola,
dài, questa locuzione così antiquata!). Uno spirito di verità che
è semplicemente voglia di sano dibattito, di sano confronto, di
condivisione con altri spiriti di verità. Revisionismi e voci fuori
dal coro che si distinguono per rigore di pensiero e documentata
fatica sulle carte.
Non
va bene il revisionismo capzioso, strumentale, disonesto e becero.
Non va bene la voce fuori dal coro
che dà spettacolo fine a se stesso per autocelebrarsi, vincere la
patacca “dell'originale del giorno”, o guadagnarsi le prebende
del gruppo di potere alternativo di turno, che di alternativo ha solo
il nome, perfettamente inserendosi in questo sistema di azzuffate
rumorose ma esangui. Giusto perché nulla cambi, facendo finta di
voler cambiare tutto.
Dei
tre articoli postati da Lamberto, due li troviamo agghiaccianti. In
diversa misura (e forse è solo una questione di stile), ma
agghiaccianti. Il terzo, quello di Giulietto Chiesa, è un
coccodrillino di chi colto alla sprovvista deve ancora elaborare il
lutto, e per questo ha tutto il nostro rispetto e la nostra
ammirazione. L'ammirazione che si riserva alla reticenza,
fra le figure retoriche la sola che, a volte, può esprimere la più
sincera commozione e il giudizio più significativo.
Ma
passiamo a dar soddisfazione agli articoli agghiaccianti – che non
la meriterebbero, ma tanto si sa, finiamo sempre per perdere tempo,
quando ci indigniamo per certi livelli di stupidità e squallore
intellettuale. E il perder tempo resta uno sfogo che comunque va
fatto.
Tal
Antonio Margheriti Mastino (un nome che avrebbe potuto esser davvero
omen, se non fosse per quell'ossimorico incongruo accostamento
fra un fiore e un cane – insomma, bastava “mastino”!),
aggredisce con inaudita e ignorante violenza il grande scrittore
sudamericano. Anche il titolo è sprezzante (L'ultimo trombone
sudamericano: morte di Garcia Marquez). Il resto dell'articolo è
un'indegna manifestazione di intolleranza, uno spettacolo, il suo sì
da salotto, dove anche il radical chic (pur riprovevole) si è
trasformato nello starnazzio frigido e sordo dell'alterco volgare.
Parlerei di Fascismo (il “giornalista” te la vuol
strappare dalla bocca a forza, questa odiosa parola) se non fosse che
il termine si presterebbe a troppo facili ulteriori e sterili
polemiche (come sterile e senza storia è diventata questa parola).
Parlerò allora di bieca volgarità. Il suo articolo, attacco
bellicoso, invidioso, accidioso e odioso, potrebbe esser ribattuto
punto per punto. Magari con altrettanta violenza, se volessimo
metterci sullo stesso piano. Non ne vale la pena. Ci basterà dire
che questo bell'esempio di politicamente scorretto ha la
stessa origine, ipocrita e di cattiva coscienza, dell'altrettanto
farisaico politicamente corretto. Il Mastino, per contratto,
dimostra: un'ignoranza totale e reale degli scritti di Marquez,
un'ignoranza mistificante della sua biografia, un'ignoranza crassa e
analfabeta della cultura sudamericana, in generale e in particolare.
Sotto questa invettiva (perché di invettiva si tratta) si nasconde
l'intolleranza più bieca e l'inquisitoria concezione, comune ad ogni
tipo di integralismo fanatico, che la vita di un'artista si debba
accordare con la sua opera. Siamo di fronte a un pensiero arcaico,
tribale – sicuramente niente a che vedere con “la sapienza degli
antichi”. Un pensiero elementare di difesa nel rifiuto e
nell'offesa. Il Mastino in questione morde chi non conosce. E in
questo almeno è coerente alla sua specie (o genere o famiglia che
sia). Morde a casaccio e il suo livore offende.
E
non offende soltanto perché rivolto contro il Garcia Marquez,
offende semplicemente perché rivolto ad un altro essere umano (e sta
in ciò, ancor più che nella farsa iconoclasta, l'agghiacciante e
l'aberrante). Che a questo signore non piacciano i romanzi di Marquez
ci importa ben poco, che questo signore moralisticamente biasimi la
vita e le connivenze, presunte o reali, con un certo tipo di potere
di Marquez, anche questo ci importa ben poco...non è del giudizio
estetico (inesistente), né di quello politico (politico?) che qui ci
interessa. Ci interessa il fatto che, di questi tempi, un Mastino
qualunque possa squallidamente e vigliaccamente scrivere cose di un
morto che, se fosse in vita, si presterebbero a una querela per
diffamazione. Ci interessa riflettere su come sia possibile che certi
scritti possano trovare uno spazio, dove la libertà di stampa (o
diffusione on line, nel nostro caso) è interpretata come libertà di
offesa. Ci interessa riflettere a che grado zero si sia arrivati
anche nella “critica letteraria”, se per tale si arriva a
spacciare questa lista di livorose farneticazioni... E' tutta questa
capacità di delirio che ci interessa, ma soprattutto ci preoccupa. E
non poco.
L'altro
articolo “agghiacciante” in realtà è una lettera a “IL
Giornale” di tal Paolo Isotta. Amico di tutti, meno che
evidentemente del povero Marquez. Il senso di glaciazione, con cui
abbiamo rubricato due dei tre interventi, è ovviamente ridotto
rispetto a quello del mastino di cui sopra. E' riconducibile forse
solo al titolo (per altro non imputabile all'Isotta), che vuol essere
a effetto: Ridicolo e banale: Garcia Marquez si può non leggere;
e al giudizio di questo signore nelle prime righe: scrittore
rudimentale e quasi (bonta sua!) ridicolo...anche perché
poi in tutta la lettera non si parla più di Marquez bensì delle
buone letture e delle buone amicizie vantate dallo scrivente.
Anche
in questo caso, niente da eccepire che Marquez a qualcuno possa non
piacere. E' come dire: non sopporto Proust, preferisco Joyce (o
viceversa), amo Toltstoj e trovo palloso Dostoevskij (o viceversa).
Anche se sul “rudimentale” e sul “ridicolo”(ma quasi)
qualche spiegazione in più sarebbe stato carino che ci fosse.
Pazienza, non si può aver tutto dalla vita (e tanto meno da una
lettera al direttore).
Quello
che più stupisce in questo “pezzo” è la qui schematizzata
sequenza: 1) l'Isotta parte da un articolo dell' “amico” Abbiati
tributandogli apprezzamento per l'assunto ivi contenuto (“la
letteratura si impone sull'effimero”), ma bacchettandolo subito
dopo perché l'occasione di tal giusta riflessione è stata aggregata
colpevolmente al coccodrillo su Marquez (evidentemente, per l'Isotta,
“l'effimero” in questione). 2) A questo punto si inserisce il
giudizio impietoso e lapidario sullo scrittore colombiano, “che
abbiamo letto a 16 anni e che non vale la pena di rileggere”... In
tal guisa liquidato l'argomento-marquez 3) l'Isotta vira (o fa
un'inversione ad “U”, se più vi piace) decantando la Vera
Letteratura che ora “solo” a 64 anni si permette di “affrontare”:
Demetrio Pianelli di
De Marchi e I Vicerè
di De Roberto. Capolavori di tutto rispetto in effetti. Niente da
eccepire, salvo forse una predilezione per scrittori dotati di De
gentilizio nel proprio cognome. Niente da eccepire, salvo forse che
il Demetrio poteva
“affrontarlo” anche prima del 64° anno e nessuno si sarebbe
adontato per questa impresa, sicuramente presuntuosa e tracotante. 4)
Suggeriteci queste indicazioni letterarie (alternative a Marquez) –
di cui lo ringraziamo – il percorso diventa più specifico ed arduo
e prende strade secondarie: lo scrivente si getta in alcune personali
recensioni, sfruttando a pieno le potenzialità critiche del genere
letterario denominato “Lettere al Direttore”.
L'amico (non lo dice, ma si capisce che anche costui è “amico”)
Masimiliano Parente ha scritto un bell'articolo sull'ultimo libro
dell'“amico” (qui invece lo dice) Michele Mari, grande scrittore
(e qui non possiamo non concordare e quasi ci dispiace) e ci spiega
epifanicamente come i libri (migliori) siano costole di altri
libri...(grazie Paolo, ci hai illuminato!). Ma anche il “caro
amico” Massimo Galluppi ha scritto un bellissimo libro... 5) Infine
l'Isotta conclude il suo percorso con il riferimento a La
condizione umana di Malraux che
come De Marchi e De Roberto non possono essere suoi “amici” ma
solo per un trascurabile motivo anagrafico, perché, ne siamo
perfettamente consapevoli, lo sarebbero stati di sicuro! 6) In
excipit (volgarmente:
“alla fine”), il Nostro ci rifila il motto latino artifex
additus artifici, facendoci così
rimpiangere la vita a Macondo, e ci augura, da persona per nulla
sussiegosa, ma umile ed educata qual è, buona Pasqua.
Caro
Isotta, se volevi parlare delle tue letture preferite e dei tuoi
“amici” scrittori preferiti, che bisogno c'era di parlar male di
Marquez, come mero preambolo ad un discorso tutto tuo?
Caro
Isotta, è mai possibile che non ti sia mai passato per la mente il
tarlo di rileggere a 30, a 40, a 60 anni, almeno una volta, i testi
dei tuoi 16 anni? (Magari Marquez, che so) Lo sai che la memoria fa
brutti scherzi, vero? E' mai possibile che tu, che parli di libri
“affrontati solo” in tarda età, tu, così colto e raffinato e
così amico delle ipostasi contemporanee della letteratura e della
critica, è mai possibile che tu ti fidi di un ricordo di mezzo
secolo fa per liquidare il Marquez? Tu, così consapevole che libro
viene da libro, che l'artefice si aggiunge all'artefice e che la
memoria è importante in questo processo, non hai mai pensato che se
ora leggi De Marchi,
De Roberto & C. è forse perché a 16 anni hai letto Marquez?
Davvero terribili e sanguinose
devono essere state la tua infanzia e la tua adolescenza, se ne hai
rimosso finanche le giovanili letture!
In
realtà abbiamo la sensazione che si voglia svalutare nell'opera di
Marquez, letta da adolescenti (ma solo perché quando fu tradotto
molti di noi erano adolescenti), un'intera generazione che ha tradito
i suoi sogni e i suoi ideali – sogni e ideali con cui anche il
leggere Marquez aveva a che fare. Una generazione che, inconsciamente
propensa a non assolversi, preferisce dire peste e corna dei suoi
miti e mettere al rogo i suoi “cattivi” maestri. Ma se i maestri
fossero stati “buoni” e fosse da mettere al rogo solo la nostra
incapacità di cambiare le cose? Il dubbio è storicamente legittimo.
Ma preferiamo rimuovere e dare ad altri la responsabilità del
naufragio, fossero anche gli autori a noi più cari in quegli anni di
formazione.
Revisionare
(gettando fango sui maestri) non ci assolve, aggiunge solo falsa
coscienza alla falsa coscienza (e allora sì che in questo caso
possiamo parlare, ma in negativo purtroppo, di artifex
additus artifici). Marquez e la
sua meravigliosa opera letteraria rimangono intatti e (diremmo)
intangibili a tutto questo e ci assale il sospetto che forse, per
molti, era meglio rileggere.
In
margine vorremmo sottolineare, in questo contraddittorio
inanellamento di severi giudizi etico-politico-letterari, che Mastino
rimprovera allo scrittore colombiano di non essere “etnico”
(esotico? Folcloristico?) ma troppo infettato di cultura occidentale,
mentre Isotta l'esatto contrario: di non esser costola di una costola
di una costola … e quindi presumibilmente troppo “etnico”
(rudimentale?)...troppo vitale, troppo capanne d'argilla e pioggia
e...putredine.
E
anche questo è il bello dei “Classici”: quando la “critica”
vile, riesce a dire tutto e il contrario di tutto nella vana speranza
di capire o più semplicemente e premeditatamente aggredire un (e qui
ci si permetta di emulare indegnamente l'Isotta) monumentum aere
perennius!
Ci
sembra giusto infine non liquidare l'unico coccodrillino positivo
proposto dal nostro blog (tanto per scatenare un po' di discussioni),
con un semplice “sono d'accordo”. In morte di Garcia Marquez
di Giulietto Chiesa fa parlare l'autore con i due incipit
più famosi, quello di Cent'anni di solitudine e di L'autunno
del patriarca. C'è già tutto. Tutto quel “realismo magico”
di cui Chiesa dice Marquez esser l'”inventore”. Poi si corregge e
cita il “real maraviglioso” di Alejo Carpentier, autore
cubano che avrebbe usato prima di Marquez l'espressione. Ecco,
vorremmo tranquillizzare il buon Chiesa: “realismo magico” o
“reale merviglioso” di fatto sono solo etichette a cui la critica
dei manuali letterari si appiglia, come a formule che dischiudon
mondi. Qui non si tratta di stabilire l'”inventore” di un genere
(che già i greci chiamavano pròtos euretès) o di uno stile.
Né Marquez, né Carpentier avrebbero ambito a questo primato da
Bignami, né tanto meno al primato della sua letterale
formulazione. Se la cosa lo può consolare anche per un bravo autore
lituano, T. S. Kondrotas, di due generazioni almeno più giovane dei
nostri latinoamericani, la critica letteraria baltica ha parlato
esattamente in termini di “realismo magico” (ed è vero, ma da
tutt'altre sponde e con tutt'altro stile). Se la cosa lo può
consolare le etichette si appicicano a molte cose, ma poi passano
come la cattiva critica, quella livorosa, volgare o snob, le
intuizioni geniali ed i capolavori restano e fra questi anche quelli
di Garcia Marquez. Anche noi, che in questo caso (e in molti altri
grazie al cielo) stiamo dentro al coro, infine ci uniamo alle
parole conclusive di Chiesa (nomen omen?): a Marquez dobbiamo
tutto il meglio di quello che siamo riusciti ad essere...e che magari
ancora saremo.
Tutto
il resto è falsa coscienza e tradimento.
Livorno,
24 Aprile 2014
Francesco Parasole
NOTA
Gli
articoli qui di scussi sono reperibili in: