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domenica 26 luglio 2020

Ringraziamenti

Ringraziamo la scrittrice Eugenia di Guglielmo che ci ha onorato con la sua presenza e  La Fisar versilia per la preziosa collaborazione e naturalmente la Tenuta Mariani che ci ha ospitati.
A presto!

giovedì 16 luglio 2020

Incontro del 24 luglio prossimo : notizie sull'Autrice

Merate:la prof.ssa Di Guglielmo dell'Agnesi pubblica il 2° libro ...


Eugenia Di Guglielmo è nata e cresciuta a Firenze, dove ha compiuto studi classici e si è specializzata in Archeologia. Attualmente insegna al liceo statale di Merate. Nel 2017 ha pubblicato con Scatole Parlanti la sua prima opera, A tutto tondo, da cui ha ricavato una sceneggiatura per il teatro. Nel 2018 è uscito Sotto un cielo di bombe, il suo secondo romanzo, sempre con Scatole Parlanti, finalista del Contropremio “Carver” 2019 e del Premio Letterario “Brianza” 2019.
Alla fine del 2019 pubblica Come un Ramo Secco che è il libro di cui parleremo nel nostro incontro.

L'incontro avrà inizio alle ore 19,00 del 24 luglio prossimo.

venerdì 1 maggio 2020

Un articolo di Vincenzo Zappalà




Un pò di tempo fa avevo accennato all' influenza di un gruppo nelle decisioni che prendiamo anche in riferimento alla degustazione.

In un articolo recente Fabio Rizzari, sicuramente non al corrente di quello che avevo scritto io, ha pubblicato su  www.acquabuona.it questo articolo

 http://www.acquabuona.it/2020/03/la-degustazione-alla-cieca-pregi-ovvi-e-rischi-non-calcolati/

nel quale afferma che un buon degustatore non deve farsi influenzare dall'etichetta o dall'azienda.


In tempi non sospetti il nostro Vincenzo Zappalà, aveva riportato un articolo scientifico di tutt'altra natura anch'esso sulla stessa rivista.

http://www.acquabuona.it/2013/08/le-degustazioni-vanno-fatte-al-buio-ma-forse-non-basta/

Lascio a voi il giudizio finale .

Lamberto Tosi


mercoledì 22 aprile 2020

Annullamento della nona edizione di Un vino Un libro

Buonasera 
è con molta tristezza che dobbiamo annullare la nona edizione di Un vino Un libro dato il procrastinarsi delle limitazioni che rendono impossibile il consueto svolgimento della nostra manifestazione. Se la situazione si normalizzerà sarà nostra cura organizzare appena possibile alcuni degli incontri previsti sempre che si mantenga la disponibilità di relatori ed aziende.
Un saluto a tutti e alle prossime comunicazioni.


Lamberto Tosi

giovedì 26 marzo 2020

Rilancio un mio articolo pubblicato su www.acquabuona.it


 Partecipare alla seduta di assemblaggio delle cuvée in una cantina dello Champagne è un buon motivo per farci gli oltre 1000 km che ci separano dal famoso territorio delle bollicine francesi. Anche quest’anno dunque, assieme a un amico, abbiamo intrapreso il viaggio che ci ha portati a Chavot- Coucourt, nella Côte des Blancs, non molto lontano da Épernay. La maison che ci accoglie è quella degli amici Vincent e Natalie, proprietari di Diogène Tissier. Realtà familiare che si estende su 8 ettari, viticoltori indipendenti, producono un’ampia gamma di Champagne con uve provenienti non solo da Chavot ma anche dalla zona di Verzy, dalla Montagna di Reims e dalla Côte de Sézanne........









http://www.acquabuona.it/2020/03/breve-visita-in-champagne-e-alsazia/

mercoledì 25 marzo 2020

Due parole sui vini rosati


Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di quasi estinzione , almeno in Italia, si sta assistendo alla rivalutazione dei vini rosati sia come vini fermi che come spumanti.
Si sa i gusti cambiano e così si apprezzano tipologie di vini che in passato erano molto meno apprezzati e viceversa. La nostra piccola dissertazione verterà sulla sua produzione e sulle tipologie ammesse dalla normativa.


Se qualcuno di voi ha dimestichezza con i vini francesi rosati può capitare di avere due tipologie principali  : quelli da elaborazione diretta delle uve rosse e quelli da taglio.

In effetti alcuni dei vini rosati francesi e molti degli spumanti, sono prodotti con una base di vino bianco e una piccola percentuale di vino rosso aggiunto. In Italia questo procedimento di norma  è ammesso (se non previsto dai disciplinari di produzione) come per esempio l'IGT Toscana dove è possibile effettuare un taglio di vino rosso con una base di vino bianco per ottenere un vino rosato.
Negli altri casi si parte dalle uve, procedendo in maniera differente, in funzione del tipo di vitigno e del risultato che vogliamo ottenere.
Quindi abbiamo tre fondamentali tipologie  i vini rosati da taglio , quelli da pressa e quelli da salasso.





Partiamo da rosati di pressa; si tratta in genere di rosati derivanti da uve già quasi al completo grado di maturazione o con una capacità colorante intensa che non consente la macerazione delle uve  per eccessiva colorazione del mosto di risulta.

In questo caso si procede come per i vini bianchi ovvero si può decidere di diraspare o meno le uve e successivamente pigiarle in pressa. Il mosto che ne uscirà sarà rosato naturalmente e conterrà, se la varietà che utilizziamo li possiede, aromi di frutta caratteristici del vitigno che possono essere in genere terpenici o tiolici. Si dovrà evitare accuratamente di pressare troppo per non far passare troppi antociani e tannini nel mosto e sopratutto molto potassio che apposta instabilità tartarica, dato che i vini rosati sono conservati alla stessa temperatura dei vini bianchi.
Successivamente si procede con protocolli di fermentazione che tengano conto della protezione dall'ossidazione degli antociani e della loro stabilizzazione per consentire dei avere un colore brillante  e stabile nel tempo.
Per i vini rosati da macerazione, che in genere sono prodotti con uve meno colorate o più acerbe, si procede con una macerazione prefermentativa in pressa o in vasca che può durare dalle 6 alle 20 ore  a seconda delle variabili sopra descritte. In questo caso è essenziale proteggere le uve ( diraspate o no) dall'ossidazione quindi possono essere utilizzati gas inerti per impedire l'attività dell'ossigeno che potrebbe portare a problemi chimici e microbiologici: i gas utilizzati sono sopratutto anidride carbonica o azoto.
Anche in  questo caso dopo la macerazione si procede allo sgrondo delle uve che possono essere anche pressate se necessario.
L'ultima metodologia di produzione dei vini rosati prevede la tecnica del salasso. In questo metodo  si procede come per un vino rosso, pigiadiraspando e portando le uve in vasca ma a poche ore dal riempimento del contenitore si toglie il mosto in toto o solo in parte. Questo dipende dal fatto se il rosato è l'unico prodotto dell'uva o il salasso serve principalmente a migliorare la concentrazione del vino rosso aumentando il rapporto tra bucce  e mosto rimasto.

Naturalmente i vini che otterremo dai diversi protocolli avranno caratteristiche differenti, in particolare il profilo aromatico e la gradazione alcolica potrebbero essere molto differenti tra vini  rosati da salasso e vini da macerazione.
Molto simili in genere, sono le procedure di fermentazione, che  dovrebbero portare ad avere dei vini rosati fruttati sia per l'apporto della varietà che per gli aromi fermentativi visto che in genere le fermentazioni avvengono a temperatura controllata abbastanza contenuta.


D'altro canto il vino rosato  dovrebbe portare con se  il ricordo delle uve di origine con particolare riferimento ai frutti rossi, e la freschezza dei vini bianchi. Un bel connubio che se ben riuscito giustifica pienamente la sua  rivalutazione.

Lamberto Tosi

Immagini tratte da Toscana Media e Loscaffaeldelvino.com

mercoledì 18 marzo 2020

Per rimanere in contatto - L'attacco dei cloni

Buongiorno a tutti,
per rimanere in contatto e per scambiarci un pò di idee in questo tempo sospeso, vi propongo da questo blog una serie di piccole riflessioni tecniche  sul vino e il suo mondo, cosa che sicuramente so fare meglio che commentare libri, che spero sia possibile riprendere al più presto.
Premetto che le considerazioni che farò e le affermazioni non sono di livello accademico ma più colloquiale, e mi perdoneranno i colleghi se il mio rigore scientifico avrà delle falle, ma come sempre, si semplifica senza stravolgere la verità, almeno questo è il mio proposito.
Vi propongo quindi una prima riflessione sulla selezione dei vitigni.

L'attacco dei cloni


In primo luogo bisogna chiarire che tutte le viti ammesse a ad oggi alla produzione di vini doc e docg, (DOP) secondo la nuova denominazione europea, sono di una unica specie la Vitis vinifera.
Dunque le varietà per  differenti che siano sono "sorelle" ( o fratelli ) fra loro. La prova classica della appartenenza ad una unica specie la da la fertilità della progenie:  si può sempre ottenere un figlio fertile dall'incrocio di due varietà di viti della specie V. vinifera.
Detto questo come si procede alla selezione di nuovi cloni e nuove varietà?
In genere esistono due fonti dove attingere per questi lavori: la natura e l'induzione umana.
La natura di per sé seleziona e spinge gli  organismi viventi a selezionarsi o meglio a diversificarsi, le condizioni ambientali selezionano queste diversità in maniera da favorire quelle che si adattano meglio a loro.
Ecco dunque che negli ambienti più disparati dove vive la vite si possono sviluppare nuove varietà che si adattano meglio all'ambiente circostante. Su questa base si innesta il lavoro dell'uomo che ha i suoi obbiettivi , che in molti casi non sono quelli della V. vinifera.
La strategia ottimale per una pianta, che non può muoversi e che però ha come obiettivo la sopravvivenza della specie, è quello di ottimizzare la diffusione dei semi. Produrre frutti appetibili dagli uccelli , nel maggior numero possibile , in modo che i semi contenuti dentro le bacche, transitino indenni nell'intestino degli animali e possano allontanarsi dalla pianta madre quanto gli uccelli possono volare . In questa ottica maggiore è il numero delle bacche prodotte e disposte in zone più possibile esposte per facilitare la predazione. Consideriamo poi la qualità dei semi; la tanto studiata componente tannica dei vinaccioli e la loro copertura con stati di cera, altro non hanno che la funzione di garantire un transito  dei semi , indenni dall'apparato digestivo degli uccelli o altri predatori.
Ma l'uomo chiede alla vite altre cose; profumi, molto succo, zuccheri e serbevolezza del vino. E quindi inizia a scegliere, selezionare le viti selvatiche in funzione di questi parametri fino a distinguerle in varietà che si localizzano in certi areali dove, nel periodo in cui sono state selezionate, si adattano meglio.
L'altra fonte di variabilità è l'opera dell'uomo sul genoma della vite.
Oggi possiamo intervenire in maniera chirurgica sul DNA della vite con sistemi di sostituzione di frammenti  che stanno dando risultati importanti nella nascita di varietà resistenti, ma già con l'incrocio si sono avuti grandi innovazioni nel panorama ampelografico: varietà come il Muller Thurgau, l' Incrocio manzoni, Baco A 22( famoso perché utilizzato nella produzione dell'Armagnac), l'Albarossa, Ervi, Alicante Bouschet, ecc. hanno contribuito alla diffusione delle possibilità di vinificazione e produzione.
Alcuni cloni di sangiovese

In questo lavoro di selezione si porta poi la distinzione all'interno delle varietà con il concetto di clone. Di tutti i sangiovesi per esempio, si inizia distinguere quelli che per migliori caratteristiche qualitative si differenziano, magari, in un appezzamento  di tutto sangiovese e nasce la cosiddetta "selezione massale" ovvero si applica alla varietà lo stesso concetto espresso prima per la specie. Anche qui sono possibile due vie: la seleziona da fonti naturali e quella attraverso incrocio intravarietale.
Come si comprende dal nome il clone viene riprodotto per via agamica, come succede oramai anche per le varietà , per consentire ai produttori che impiantano un vigneto di avere in campo proprio la varietà che desiderano e naturalmente un determinato clone. Ovvero dal punto di vista genetico un determinato clone di sangiovese dovrebbe dare origine ad esemplari tutti identici dato che il patrimonio genetico è lo stesso. Sono  come si dice propriamente CLONI.
Oggigiorno c'è un ampio dibattito su questa ricerca dei cloni in viticoltura per motivi legati alla presunta possibilità di questi cloni di non poter resistere ad eventuali nuove malattie essendo messa a rischio la biodiversità.
In linea di principio il concetto è sicuramente valido ma esso sarebbe molto più stringente,  se si trattasse di coltivare la vite in un ambiente naturale. Di per se l'agricoltura  è un ecosistema molto semplificato dove alcuni concetti generali rischiamo di perdere molta della loro forza, dato che si annullano certi meccanismi di auto selezione; prova ne sia che durante l'ottocento e i primi del novecento, quando abbiamo subito l'invasione delle principali malattie della vite prima sconosciute in Europa ( fillossera, Peronospora e Oidio),  la biodiversità, che pure esisteva (non essendo diffusa la selezione clonale ed essendo i vigneti certamente più promiscui di oggi) , non ha salvato le nostre viti dalla necessità di trattamenti e di reinnesti. Ma come dicevo in precedenza l'obiettivo della vite come specie non è certo quello dell'uomo e non avremmo i meravigliosi vitigni che abbiamo,  che ci donano le amplissime varietà di vini della nostra viticoltura moderna se non avessimo avuto questo attento e continuo lavoro di selezione dell'uomo.

Lamberto Tosi


lunedì 9 marzo 2020

Annullamento evento del 21 marzo.

In ottemperanza al decreto governativo del 8 marzo annulliamo il primo incontro del nono ciclo di Un Vino ... un Libro.  Credo che comprenderete la nostra decisione. Vi terremo informati per le successive date.
Lamberto Tosi

lunedì 17 febbraio 2020

Il programma della nona edizione è on line

Qui di seguito riportiamo il programma della nona edizione che vede molte novità.
In particolare la presenza di due illustri autori che presenteranno i loro libri oltre alla selezione di aziende vitivinicole  nostre compagne di avventura.
A breve programma dettagliato della serata del 21 marzo prossimo.



sabato 18 gennaio 2020

Un ricordo di Gianna

La prima volta che mi ricordo di questa coppia di appassionati enofili è in un evento organizzato dall'Acquabuona a Pisa. L'apertura dell'evento, se non sbaglio era alle 10,00 del mattino, ma già dalle 9,30 questi due signori ( Vincenzo e Gianna Zappalà) erano in cortese attesa dell'inizio della nostra degustazione. E così è stato per gli eventi a seguire finché non ci siamo conosciuti meglio e finalmente ho compreso che quel signore era ed è un illustre astronomo e astrofisico e che la signora con cui stava era la compagna della sua vita . Un ricordo questo indelebile come i giudizi netti e irrevocabili che Gianna emetteva sui vini assaggiati. E infatti la perdita dell'olfatto di qualche anno fa aveva precluso a Gianna una grossa parte di questo mondo che tanto amava e tanto conosceva. Si perché Vincenzo e Gianna conoscevano di persona i grandi e piccoli vignaioli piemontesi e non solo e con essi avevano un rapporto di amicizia intima e sincera.
La ricordo così Gianna attenta osservatrice del mondo,  sincera come un bisturi, generosa come una vera amica, illuminante come faro nella notte. E una notte improvvisamente quel faro si è spento.
Non però il ricordo di quella luce che porteremo sempre dentro di noi.
Lamberto Tosi

un articolo sui pinot dell'appennino e qualche considerazione stilistica..

http://www.acquabuona.it/2020/01/eccopino-una-occasione-per-parlare-di-pinot-nero/


 Il Pinot Nero è per gli enoappassionati croce e delizia. Molti sono convinti che non esista altro vitigno e vino così nobile e sublime, per altri invece è stato a volte motivo di delusione o disincanto. Se questo è vero per tutti i vitigni (date le molteplici “versioni” che si trovano in commercio) lo è ancor di più per il pinot nero, data la fama e il costo che raggiungono alcune bottiglie prodotte con questa uva.
Non ultima poi, in questa costruzione del mito, risulta l’influenza della sua zona di origine e sicuramente della più accreditata area di produzione: la Borgogna.  Il binomio pinot nero –  Borgogna è uno di quei dogmi che non si possono scalfire e che fanno parte del credo degli enofili, badate bene con molti argomenti a suo favore, ma anche con cocenti delusioni da mettere nel conto, se non si sceglie la bottiglia giusta. Così, avventurarsi fra i Pinot Nero dell’Appennino è un modo intelligente per approfondire la conoscenza di questo vitigno nelle sua verità e nel suo mito.
La sua origine, seppure ancora incerta, lo fa risalire all’età preromana nella zona della Borgogna, dato che gli stessi Plinio il vecchio e Columella lo hanno annoverato tra le varietà di vite conosciute.
Geneticamente è considerato una varietà instabile e nel tempo sembra aver dato origine a mutazioni poi stabilizzatesi in varietà (pinot bianco, pinot grigio, pinot meunier). Il nome sembra derivare dalla forma del grappolo che assomiglia ad una pigna, sia per le piccole dimensioni che per la compattezza, ipotesi quest’ultima accreditata dal fatto che anche lo chenin blanc, vitigno principe della Loira, è chiamato localmente Pineau de la Loire proprio a causa della forma del grappolo.
Le caratteristiche agronomiche che hanno decretato il successo della varietà, anche al di fuori della zona di tradizionale coltivazione, sono presto dette: produzione costante, vigoria, facilità nel raggiungimento di un grado zuccherino elevato, ciclo produttivo precoce.  D’altro canto se questi appaiono punti di forza per la produzione di vini semplici e dal basso profilo qualitativo, tutt’altro aspetto assumono i punti deboli per la produzione di vini di elevata qualità.
I “difetti” del pinot nero risiedono essenzialmente nella materia colorante molto instabile e ossidabile, nell’assenza quasi totale di forme acilate degli antociani, nella notevole difficoltà nel raggiungimento della maturità dei vinaccioli in sincronia con le bucce ( ciò che provoca problemi di forte astringenza in fase di macerazione), nei pH molte volte elevati che espongono i vini a rapido invecchiamento o a rischi biologici, nella bassa resistenza alle malattie fungine,  in primis alla Botrite, che facilmente colpisce i grappoli se si hanno periodi umidi in prossimità della maturazione.
Come si vede, quando si punta alla qualità, il pinot nero pone dei problemi agronomici ed enologici non banali a cui l’agronomo e l’enologo sono chiamati a rispondere con competenza e attenzione. Da qui forse si è ulteriormente alimentata la fama di vitigno eclettico e problematico per l’enologo, quando se ne voglia trarre prodotti rispettosi della tipicità e del profilo aromatico.
E parlando di tipicità non vi è forse vino-vitigno più legato ad uno stile iconico. Se si propone un pinot nero vinificato in rosso ci si deve per forza confrontare con i vini borgognoni e con il loro stile. Che sia coltivato in Cile o in Nuova Zelanda, in Oregon o in Ontario il confronto rimane con i vini della Côte d’Or e con il loro stile etereo e austero al tempo stesso dove l’acidità, il tannino e l’evoluzione sono i tre pilastri su cui posa lo stereotipo del “vero” Pinot Noir. Tanto che quando si studiano i terreni dove sorgono i vigneti non borgognoni se ne compara sempre la composizione con quelli della riva destra della Saône cercando quel che manca o quel che vi è in più per giustificare diversità di qualità o di profondità nei vini. Quindi un grande modello a cui non possiamo esimerci dal confrontarsi.
Detto questo, l’evento Eccopinò svoltosi a Borgo a Mozzano (provincia di Lucca) il 3 dicembre scorso, che ha presentato i produttori dell’Appennino Toscano uniti dalla produzione di Pinot nero (Mugello, Lunigiana, Casentino, Garfagnana le terre “implicate”) e che ha potuto contare sulla presentazione di Armando Castagno, fra i massimi esperti di Borgogna in Italia, non ha fatto che confermare  quello che si è detto sopra: il pinot nero non è ancora riuscito, nel mondo, ad esprimere modelli interpretativi diversi da quella imposta dalla Borgogna.  Eppure ci sono riusciti molti altri vitigni e altri territori ad affrancarsi dalla primigenia zona di origine: si pensi solamente ai merlot, ai cabernet e alla schiera di vitigni a bacca bianca mitteleuropei che hanno trovato in altre aree del pianeta terroir di elezione e conseguente valorizzazione. E dunque cosa dire dei Pinot Nero dell’Appennino? Direi per un attimo di liberarci da questo enorme fardello e consentire alla nostra intelligenza e al nostro animo di esprimersi per le sensazioni e le volontà riscontrate, senza confrontare niente con niente ma valutando soltanto la realtà e la dimensione specifica dei vini degustati.
Così possiamo dire che nel complesso i vini presentati a Eccopinò 2019 ci son piaciuti, e nel tempo (abbiamo partecipato già in passato a questo evento) si sono affinati e migliorati sia stilisticamente che tecnicamente.  Le otto cantine presenti hanno con coraggio accettato la sfida di esplorare territori diversi con un vitigno che è senz’altro uno strumento sensibile e delicato per leggerli, e lo hanno fatto consentendo di evidenziarne i pregi e i limiti oggettivi, e già questo è un grande merito e un motivo di plauso.
Poi, incontrare vini di bella fattura e di forte caratterizzazione non fa che convincerci ancor di più che la strada intrapresa otto anni fa sia valida e ricca di possibilità. Vini come quelli del Podere della Civettaja, Il Rio, Casteldelpiano, Fattoria il Lago, permettono di apprezzare l’interpretazione del vitigno di un determinato territorio con una onestà pregevole, che non interviene con artifici nelle eventuali sfocature.
Quindi una bella manifestazione insomma, ottimamente ideata dal presidente dell’associazione Cipriano Barsanti (che con i suoi vini di Macea fa parte della schiera dei validi produttori), che auspichiamo di veder crescere come già lo hanno fatto i Pinot Nero dell’Appennino in tutti questi anni.