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giovedì 24 aprile 2014

Il contributo di Francesco Parasole al nostro articolo dulla Morte di G. G. Marquez






GARCIA MARQUEZ

in memoriam

Coccodrilli di nome e di fatto

I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito:
«Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»
Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve
per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
ITALO CALVINO

E va bene. Va bene tutto. Va bene il revisionismo, se fatto con rigore, buona fede, necessità di continua interrogazione (che è l'essenza della ricerca), bisogno di sempre più cogenti verifiche. Va bene “rivedere”, se qualche “dato” o “fatto” non ci torna, se si aggiungono altri “fatti” e “dati” che prima non erano disponibili. Va bene anche sottoporre lo stesso fenomeno, lo stesso argomento, lo stesso campo di ricerca ad un'analisi da varie distanze, da vari altri punti di osservazione o sistemi di riferimento. Per verificare se una teoria regge, se una teoria va modificata o radicalmente cambiata. Per dare un contributo ulteriore. Va bene tutto.
E vanno pure bene le voci fuori dal coro, quelle delle persone oneste, intelligenti e di buona volontà che, pensandola diversamente dalla comune opinione (quale essa sia), non vogliono avallare giudizi di comodo ma pacificamente e serenamente esprimere il proprio di giudizio, in spirito di verità (e diciamola, dài, questa locuzione così antiquata!). Uno spirito di verità che è semplicemente voglia di sano dibattito, di sano confronto, di condivisione con altri spiriti di verità. Revisionismi e voci fuori dal coro che si distinguono per rigore di pensiero e documentata fatica sulle carte.

Non va bene il revisionismo capzioso, strumentale, disonesto e becero. Non va bene la voce fuori dal coro che dà spettacolo fine a se stesso per autocelebrarsi, vincere la patacca “dell'originale del giorno”, o guadagnarsi le prebende del gruppo di potere alternativo di turno, che di alternativo ha solo il nome, perfettamente inserendosi in questo sistema di azzuffate rumorose ma esangui. Giusto perché nulla cambi, facendo finta di voler cambiare tutto.

Dei tre articoli postati da Lamberto, due li troviamo agghiaccianti. In diversa misura (e forse è solo una questione di stile), ma agghiaccianti. Il terzo, quello di Giulietto Chiesa, è un coccodrillino di chi colto alla sprovvista deve ancora elaborare il lutto, e per questo ha tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. L'ammirazione che si riserva alla reticenza, fra le figure retoriche la sola che, a volte, può esprimere la più sincera commozione e il giudizio più significativo.

Ma passiamo a dar soddisfazione agli articoli agghiaccianti – che non la meriterebbero, ma tanto si sa, finiamo sempre per perdere tempo, quando ci indigniamo per certi livelli di stupidità e squallore intellettuale. E il perder tempo resta uno sfogo che comunque va fatto.

Tal Antonio Margheriti Mastino (un nome che avrebbe potuto esser davvero omen, se non fosse per quell'ossimorico incongruo accostamento fra un fiore e un cane – insomma, bastava “mastino”!), aggredisce con inaudita e ignorante violenza il grande scrittore sudamericano. Anche il titolo è sprezzante (L'ultimo trombone sudamericano: morte di Garcia Marquez). Il resto dell'articolo è un'indegna manifestazione di intolleranza, uno spettacolo, il suo sì da salotto, dove anche il radical chic (pur riprovevole) si è trasformato nello starnazzio frigido e sordo dell'alterco volgare. Parlerei di Fascismo (il “giornalista” te la vuol strappare dalla bocca a forza, questa odiosa parola) se non fosse che il termine si presterebbe a troppo facili ulteriori e sterili polemiche (come sterile e senza storia è diventata questa parola). Parlerò allora di bieca volgarità. Il suo articolo, attacco bellicoso, invidioso, accidioso e odioso, potrebbe esser ribattuto punto per punto. Magari con altrettanta violenza, se volessimo metterci sullo stesso piano. Non ne vale la pena. Ci basterà dire che questo bell'esempio di politicamente scorretto ha la stessa origine, ipocrita e di cattiva coscienza, dell'altrettanto farisaico politicamente corretto. Il Mastino, per contratto, dimostra: un'ignoranza totale e reale degli scritti di Marquez, un'ignoranza mistificante della sua biografia, un'ignoranza crassa e analfabeta della cultura sudamericana, in generale e in particolare. Sotto questa invettiva (perché di invettiva si tratta) si nasconde l'intolleranza più bieca e l'inquisitoria concezione, comune ad ogni tipo di integralismo fanatico, che la vita di un'artista si debba accordare con la sua opera. Siamo di fronte a un pensiero arcaico, tribale – sicuramente niente a che vedere con “la sapienza degli antichi”. Un pensiero elementare di difesa nel rifiuto e nell'offesa. Il Mastino in questione morde chi non conosce. E in questo almeno è coerente alla sua specie (o genere o famiglia che sia). Morde a casaccio e il suo livore offende.
E non offende soltanto perché rivolto contro il Garcia Marquez, offende semplicemente perché rivolto ad un altro essere umano (e sta in ciò, ancor più che nella farsa iconoclasta, l'agghiacciante e l'aberrante). Che a questo signore non piacciano i romanzi di Marquez ci importa ben poco, che questo signore moralisticamente biasimi la vita e le connivenze, presunte o reali, con un certo tipo di potere di Marquez, anche questo ci importa ben poco...non è del giudizio estetico (inesistente), né di quello politico (politico?) che qui ci interessa. Ci interessa il fatto che, di questi tempi, un Mastino qualunque possa squallidamente e vigliaccamente scrivere cose di un morto che, se fosse in vita, si presterebbero a una querela per diffamazione. Ci interessa riflettere su come sia possibile che certi scritti possano trovare uno spazio, dove la libertà di stampa (o diffusione on line, nel nostro caso) è interpretata come libertà di offesa. Ci interessa riflettere a che grado zero si sia arrivati anche nella “critica letteraria”, se per tale si arriva a spacciare questa lista di livorose farneticazioni... E' tutta questa capacità di delirio che ci interessa, ma soprattutto ci preoccupa. E non poco.

L'altro articolo “agghiacciante” in realtà è una lettera a “IL Giornale” di tal Paolo Isotta. Amico di tutti, meno che evidentemente del povero Marquez. Il senso di glaciazione, con cui abbiamo rubricato due dei tre interventi, è ovviamente ridotto rispetto a quello del mastino di cui sopra. E' riconducibile forse solo al titolo (per altro non imputabile all'Isotta), che vuol essere a effetto: Ridicolo e banale: Garcia Marquez si può non leggere; e al giudizio di questo signore nelle prime righe: scrittore rudimentale e quasi (bonta sua!) ridicolo...anche perché poi in tutta la lettera non si parla più di Marquez bensì delle buone letture e delle buone amicizie vantate dallo scrivente.
Anche in questo caso, niente da eccepire che Marquez a qualcuno possa non piacere. E' come dire: non sopporto Proust, preferisco Joyce (o viceversa), amo Toltstoj e trovo palloso Dostoevskij (o viceversa). Anche se sul “rudimentale” e sul “ridicolo”(ma quasi) qualche spiegazione in più sarebbe stato carino che ci fosse. Pazienza, non si può aver tutto dalla vita (e tanto meno da una lettera al direttore).
Quello che più stupisce in questo “pezzo” è la qui schematizzata sequenza: 1) l'Isotta parte da un articolo dell' “amico” Abbiati tributandogli apprezzamento per l'assunto ivi contenuto (“la letteratura si impone sull'effimero”), ma bacchettandolo subito dopo perché l'occasione di tal giusta riflessione è stata aggregata colpevolmente al coccodrillo su Marquez (evidentemente, per l'Isotta, “l'effimero” in questione). 2) A questo punto si inserisce il giudizio impietoso e lapidario sullo scrittore colombiano, “che abbiamo letto a 16 anni e che non vale la pena di rileggere”... In tal guisa liquidato l'argomento-marquez 3) l'Isotta vira (o fa un'inversione ad “U”, se più vi piace) decantando la Vera Letteratura che ora “solo” a 64 anni si permette di “affrontare”: Demetrio Pianelli di De Marchi e I Vicerè di De Roberto. Capolavori di tutto rispetto in effetti. Niente da eccepire, salvo forse una predilezione per scrittori dotati di De gentilizio nel proprio cognome. Niente da eccepire, salvo forse che il Demetrio poteva “affrontarlo” anche prima del 64° anno e nessuno si sarebbe adontato per questa impresa, sicuramente presuntuosa e tracotante. 4) Suggeriteci queste indicazioni letterarie (alternative a Marquez) – di cui lo ringraziamo – il percorso diventa più specifico ed arduo e prende strade secondarie: lo scrivente si getta in alcune personali recensioni, sfruttando a pieno le potenzialità critiche del genere letterario denominato “Lettere al Direttore”. L'amico (non lo dice, ma si capisce che anche costui è “amico”) Masimiliano Parente ha scritto un bell'articolo sull'ultimo libro dell'“amico” (qui invece lo dice) Michele Mari, grande scrittore (e qui non possiamo non concordare e quasi ci dispiace) e ci spiega epifanicamente come i libri (migliori) siano costole di altri libri...(grazie Paolo, ci hai illuminato!). Ma anche il “caro amico” Massimo Galluppi ha scritto un bellissimo libro... 5) Infine l'Isotta conclude il suo percorso con il riferimento a La condizione umana di Malraux che come De Marchi e De Roberto non possono essere suoi “amici” ma solo per un trascurabile motivo anagrafico, perché, ne siamo perfettamente consapevoli, lo sarebbero stati di sicuro! 6) In excipit (volgarmente: “alla fine”), il Nostro ci rifila il motto latino artifex additus artifici, facendoci così rimpiangere la vita a Macondo, e ci augura, da persona per nulla sussiegosa, ma umile ed educata qual è, buona Pasqua.
Caro Isotta, se volevi parlare delle tue letture preferite e dei tuoi “amici” scrittori preferiti, che bisogno c'era di parlar male di Marquez, come mero preambolo ad un discorso tutto tuo?
Caro Isotta, è mai possibile che non ti sia mai passato per la mente il tarlo di rileggere a 30, a 40, a 60 anni, almeno una volta, i testi dei tuoi 16 anni? (Magari Marquez, che so) Lo sai che la memoria fa brutti scherzi, vero? E' mai possibile che tu, che parli di libri “affrontati solo” in tarda età, tu, così colto e raffinato e così amico delle ipostasi contemporanee della letteratura e della critica, è mai possibile che tu ti fidi di un ricordo di mezzo secolo fa per liquidare il Marquez? Tu, così consapevole che libro viene da libro, che l'artefice si aggiunge all'artefice e che la memoria è importante in questo processo, non hai mai pensato che se ora leggi De Marchi, De Roberto & C. è forse perché a 16 anni hai letto Marquez? Davvero terribili e sanguinose devono essere state la tua infanzia e la tua adolescenza, se ne hai rimosso finanche le giovanili letture!
In realtà abbiamo la sensazione che si voglia svalutare nell'opera di Marquez, letta da adolescenti (ma solo perché quando fu tradotto molti di noi erano adolescenti), un'intera generazione che ha tradito i suoi sogni e i suoi ideali – sogni e ideali con cui anche il leggere Marquez aveva a che fare. Una generazione che, inconsciamente propensa a non assolversi, preferisce dire peste e corna dei suoi miti e mettere al rogo i suoi “cattivi” maestri. Ma se i maestri fossero stati “buoni” e fosse da mettere al rogo solo la nostra incapacità di cambiare le cose? Il dubbio è storicamente legittimo. Ma preferiamo rimuovere e dare ad altri la responsabilità del naufragio, fossero anche gli autori a noi più cari in quegli anni di formazione.
Revisionare (gettando fango sui maestri) non ci assolve, aggiunge solo falsa coscienza alla falsa coscienza (e allora sì che in questo caso possiamo parlare, ma in negativo purtroppo, di artifex additus artifici). Marquez e la sua meravigliosa opera letteraria rimangono intatti e (diremmo) intangibili a tutto questo e ci assale il sospetto che forse, per molti, era meglio rileggere.
In margine vorremmo sottolineare, in questo contraddittorio inanellamento di severi giudizi etico-politico-letterari, che Mastino rimprovera allo scrittore colombiano di non essere “etnico” (esotico? Folcloristico?) ma troppo infettato di cultura occidentale, mentre Isotta l'esatto contrario: di non esser costola di una costola di una costola … e quindi presumibilmente troppo “etnico” (rudimentale?)...troppo vitale, troppo capanne d'argilla e pioggia e...putredine.
E anche questo è il bello dei “Classici”: quando la “critica” vile, riesce a dire tutto e il contrario di tutto nella vana speranza di capire o più semplicemente e premeditatamente aggredire un (e qui ci si permetta di emulare indegnamente l'Isotta) monumentum aere perennius!

Ci sembra giusto infine non liquidare l'unico coccodrillino positivo proposto dal nostro blog (tanto per scatenare un po' di discussioni), con un semplice “sono d'accordo”. In morte di Garcia Marquez di Giulietto Chiesa fa parlare l'autore con i due incipit più famosi, quello di Cent'anni di solitudine e di L'autunno del patriarca. C'è già tutto. Tutto quel “realismo magico” di cui Chiesa dice Marquez esser l'”inventore”. Poi si corregge e cita il “real maraviglioso” di Alejo Carpentier, autore cubano che avrebbe usato prima di Marquez l'espressione. Ecco, vorremmo tranquillizzare il buon Chiesa: “realismo magico” o “reale merviglioso” di fatto sono solo etichette a cui la critica dei manuali letterari si appiglia, come a formule che dischiudon mondi. Qui non si tratta di stabilire l'”inventore” di un genere (che già i greci chiamavano pròtos euretès) o di uno stile. Né Marquez, né Carpentier avrebbero ambito a questo primato da Bignami, né tanto meno al primato della sua letterale formulazione. Se la cosa lo può consolare anche per un bravo autore lituano, T. S. Kondrotas, di due generazioni almeno più giovane dei nostri latinoamericani, la critica letteraria baltica ha parlato esattamente in termini di “realismo magico” (ed è vero, ma da tutt'altre sponde e con tutt'altro stile). Se la cosa lo può consolare le etichette si appicicano a molte cose, ma poi passano come la cattiva critica, quella livorosa, volgare o snob, le intuizioni geniali ed i capolavori restano e fra questi anche quelli di Garcia Marquez. Anche noi, che in questo caso (e in molti altri grazie al cielo) stiamo dentro al coro, infine ci uniamo alle parole conclusive di Chiesa (nomen omen?): a Marquez dobbiamo tutto il meglio di quello che siamo riusciti ad essere...e che magari ancora saremo.
Tutto il resto è falsa coscienza e tradimento.

Livorno, 24 Aprile 2014 Francesco Parasole


NOTA

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